Nelle motivazioni della sentenza di condanna giudici della corte d’Assise di Roma scrivono come il giovane fino alla sera dell'arresto vivesse "in una condizione di sostanziale benessere, se non avesse subito un evento traumatico, nella sala adibita a fotosegnalamento nella caserma Casilina, non avrebbe sofferto di molteplici e gravi lesioni, con l’instaurarsi di accertate patologie che hanno portato al suo ricovero e da lì a quel progressivo aggravarsi delle sue condizioni che lo hanno condotto alla morte"
Fino al momento del suo arresto Stefano Cucchi stava bene. Sarebbe morto solo i seguito a un “evento traumatico“, accaduto nella “sala adibità al fotosegnalamento nella caserma Casilina“. Dove, cioè, fu pestato dai carabinieri Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo che si resero colpevoli di una “azione violenta“, facendo “uso distorto dei poteri di coercizione inerenti il loro servizio“, e “violando dovere di tutelare l’incolumità fisica della persona sottoposta al loro controllo”. Lo scrivono i giudici della corte d’Assise di Roma nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 14 novembre hanno condannato gli stessi Di Bernardo e D’Alessandro a 12 anni per omicidio preterintenzionale. Con l’accusa di falso vennero condannati il maresciallo Roberto Mandolini, a 3 anni e 8 mesi, e il carabiniere Francesco Tedesco, a 2 anni. Quest’ultimo è il super testimone che nel 2018 decise di raccontare quanto aveva visto nella caserma Casilina, dove avvenne il pestaggio.
“Cucchi stava bene fino all’arresto” – Fino a quella sera, ricostruiscono i magistrati, il geometra 31enne stava bene. “La prima univoca e indiscutibile conclusione che si deve trarre è che nel pomeriggio/serata del 15 ottobre 2009(quando fu arrestato il giovane, ndr) e nella prima parte della notte del 16, fino all’esecuzione della perquisizione domiciliare, Stefano Cucchi versava in condizioni fisiche assolutamente normali e che non presentava, né manifestava, alcun segno di lesioni fisiche”, scrivono i giudici. Quindi “Stefano Cucchi, vivendo sino alla sera del 15 ottobre del 2009, in una condizione di sostanziale benessere, se non avesse subito un evento traumatico, nella sala adibita a fotosegnalamento nella caserma Casilina, non avrebbe sofferto di molteplici e gravi lesioni, con l’instaurarsi di accertate patologie che hanno portato al suo ricovero e da lì a quel progressivo aggravarsi delle sue condizioni che lo hanno condotto alla morte“, continuano i magistrati.
“Dai carabinieri uso distorto poteri di coercizione” – I magistrati spiegano dunque i motivi che hanno portato alla morte di Cucchi: “Un’univoca convergenza di fonti probatorie ha portato ad accertare con assoluta evidenza come quell’evento traumatico che ha rappresentato la causa prima della patofenesi che si è rapidamente conclusa con la morte di Cucchi fosse stata una condotta violenta perpetrata ai suoi danni da appartenenti all’Arma dei carabinieri e, specificatamente, da alcuni di loro che avevano partecipato al suo arresto e che erano stati presenti nella nota sala Spis”. È dunque “indiscutibile che la reazione tenuta da Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo sia stata illecita e ingiustificabile. Una azione violenta nel corso dello svolgimento del servizio d’istituto, per un verso facendo un uso distorto dei poteri di coercizione inerenti il loro servizio, per altro aspetto violando il dovere di tutelare l’incolumità fisica della persona sottoposta al loro controllo”. I giudici della Corte d’Assise rilevano inoltre che “il fatto si è svolto in un locale della caserma ove nessuno estraneo poteva avvedersi di quanto stava accadendo, in piena notte ai danni di una persona decisamente minuta e di compressioni fisica molto meno prestante rispetto a quella dei due militari”.
“Verbale di arresto concentrato di anomalie e inesattezze” – Un paragrafo delle motivazioni è dedicato al “verbale di arresto” di Cucchi che “appare già, ad un prima lettura, un concentrato di anomalie, errori ed inesattezze. Il soggetto sottoposto alla misure precautelare viene indicato nell’incipit con luogo e data di nascita a lui non pertinenti”. “Questa sagra degli errori rafforza – continua la corte – la sensazione che l’attestazione dell’identificazione di Cucchi sia stata una (macroscopica, madornale) svista. L’omissione dei nomi di Di Bernardo e D’Alessandro tra gli autori dell’arrestato è stata casuale? La corte ritiene di dovere dare risposta negativa alla domanda. L’assenza dei due è funzionale alla cancellazione di qualsiasi traccia della drammatica vicenda avvenuta all’interno della caserma”.
La ricostruizione e il nesso di causalità – I magistrati ricostruiscono la storia del processo, mettendo in fila i motivi che hanno portato alla condanna dei carabinieri. “L’istruttoria dibattimentale – scrivono- ha consentito di raggiungere delle indubitabili certezze: a seguito dell’arresto di Stefano Cucchi e in particolare in sede di permanenza nella sala adibita a fotosegnalamento presso la compagnia Casilina si è verificato un evento traumatico ai suoi danni; a seguito e in ragione di detto evento egli ha subito varie lesioni tali da necessitare con urgenza il ricovero in ambiente ospedaliero”. Quella che si è verificata aè “una catena causale – che parte, dunque, da un’azione palesemente dolosa illecita che ha costituito la causa prima di un’evoluzione patologica alla fine letale”. Per i giudici si tratta di “uno schema che, così, corrisponde perfettamente alla previsione normativa in tema di nesso di casualità tra condotta illecita ed evento e che, d’altra parte, rende chiara la differenza tra la mera causalità biologica, secondo la quale nessuna delle singole lesioni subite da Cucchi sarebbe stata idonea a cagionare la morte, e la causalità giuridico penale, nel rispetto della quale il nesso di causalità sussiste se quelle lesioni, conseguenza di condotta delittuosa, siano state tali da innescare una serie di eventi terminati con la morte, così come si è verificato nel caso in esame”.
“Cucchi non è morto per epilessia” – Cucchi non è morto per epilessia, come venne affermato in passato, ma per una serie di fattori legata alle lesioni subite: “E’ assolutamente fondata e condivisibile la prospettazione medico legale che ha ricondotto il meccanismo causale della morte di Stefano Cucchi a una concatenazione polifattoriale – sottolineano i giudici- in cui essenziale, se non unico, è risultato un riflesso vagale connesso alla vescica neugenica originata dalla lesione in S4 tale da determinare un’aritmia letale”. I giudici sottolineano “l’inconsistenza della tesi della morte per Sudep (morte improvvisa per epilessia da pazienti in buono stato di salute, ndr. ), mera ipotesi non suffragata, anzi smentita, da alcuna evidenza clinica”. Stefano Cucchi è morto dopo essere stato pestato: fino alla sera dell’arresto stava bene.
“Tedesco credibile, ha taciuto per il muro dei suoi superiori” – I giudici considerano credibile Tedesco, il carabiniere che dopo tanti anni ha svelato il pestaggio, accusando i colleghi Di Bernardo e D’Alessandro. I magistrati in particolare riconoscono anche le ragioni del suo lungo silenzio: “La narrazione del militare dell’Arma ha consentito di acquisire una molteplicità di univoci riscontri alla ricostruzione dei fatti e per altro aspetto, questi ha offerto una spiegazione del suo pregresso silenzio assolutamente comprensibile e ragionevole alla stregua proprio delle emergenze processuali inerenti sia la formazione del falso ideologico, sia quella serie di condotte attribuite alla catena di comando dell’Arma che saranno oggetto di accertamento giudiziale in un altro dibattimento ma che nel corso dell’istruttoria svoltasi dinnanzi a questa Corte hanno evidenziato quantomeno elementi di scarsa trasparenza e collaborazione per l’accertamento della verità fattuale relativa alla vicenda in esame”. Il riferimento è al processo sui depistaggio attualmente in corso a Roma. La corte d’Assise ricorda che Tedesco è intervenuto non soltanto per fare “cessare l’azione violenta” ma “ha spiegato in modo comprensibile e ragionevole il suo pregresso silenzio, sottolineando il muro che aveva avuto la certezza gli si fosse parato dinnanzi costituito dalle iniziative dei suoi superiori, dirette a non far emergere l’azione perpetrata ai danni di Cucchi, e a non perseguire la volontà di verificare che cosa fosse realmente accaduto”.