Società

Tornare dalla Cina è stato un incubo, la fobia Coronavirus anche peggio. E ora c’è chi vuole denunciarmi

di Gianluigi Perrone*

Quando la mia collega Xiao Mei mi ha portato una mascherina in ufficio per questa “nuovo raffreddore” (xinda gamao) ho pensato “rieccoci”.

Nel 2013, un anno dopo il mio trasferimento a Pechino, passavo in macchina attraverso la bidonville di Dalianpo, dove vidi un bambino completamente nudo coperto di catrame vivere nelle baracche insieme a una capra. Ero lì per cercare delle location per delle riprese e invece mi sono beccato la febbre a 40 per dieci giorni, con tosse forte e bronchite, gli stessi sintomi del morbo che sta terrorizzando mezzo mondo.

Era il Coronavirus. Infatti questo di cui parliamo adesso non è che un vecchio amico che si presenta di tanto in tanto sul territorio cinese, ogni volta in una forma diversa ma sempre lì dove le condizioni igieniche sono estremamente precarie. Anche questa volta potevo farcela ad affrontarlo, ma non posso prendermi la responsabilità di farlo poiché tra le mie braccia ho la Luna.

Parlo di Isabella Luna, mia figlia, nata qui a Pechino da soli tre mesi. Il virus non ci faceva paura finché qualcosa non è iniziato a cambiare a Pechino. La madre di Isabella è russa, e pareva non essere preoccupata fino a quando non hanno cominciato a chiudere i voli. Nella nostra idea di neo-genitori potevamo stare chiusi dentro casa finché la situazione non si fosse tranquillizzata, ma non potevamo rischiare di essere bloccati in Cina senza poter andare altrove. Non potevamo rischiare per Isabella se le cose non fossero diventate seriamente rischiose.

Il giorno che il Consolato italiano mi consegna il visto per la madre di Isabella mi dicono “andate via prima che chiudano i voli con l’Italia. Noi saremo gli ultimi ad andarcene”. Sembrava di sentire frasi da La Città verrà distrutta all’alba di George Romero, ma mentre cercavo di prenotare un diretto per il primo viaggio in aereo della piccola Isabella, proprio mentre sto ultimando il pagamento online si apre un pop up che dice che il volo ha un altro prezzo, e la cifra e innaturalmente alta. Hanno trovato due casi in Italia. Il governo italiano ha chiuso tutti i voli diretti. Il primo viaggio di Isabella sarà più complicato di quanto sembri.

Proviamo Emirates, è sempre la più comoda. Volo via Dubai. Prenoto, pago e poi “puff!”. I soldi ritornano indietro e la prenotazione viene rifiutata. Ok, proviamo Etihad Airway. Questo dovrebbe andare. In aeroporto per la prima volta Isabella incontra “la gente”. Non ci sono molte persone. All’entrata ti controllano la temperatura e se hai sintomi, se quindi puoi infettare qualcuno con tosse o starnuti, non passi. Eppure c’è una grande massa di gente al check-in, tutti con la mascherina, e moltissimi cinesi che hanno assaltato le sempre meno linee aeree che accettano prenotazioni.

Il check-in non parte. Non annunciano alcun ritardo ma non parte. Chiediamo informazioni e sono stranamente reticenti, allora mando a casa subito mamma e bimba, perché se c’è un unico posto dove c’è rischio di contagio è proprio l’aeroporto. Il volo viene rimandato ma non cancellato, e ci dicono che ci chiameranno nel pomeriggio dell’indomani. Dopo capirò che è una maniera diplomatica per non dire ai viaggiatori cinesi che non possono volare e creare comunque un filtro attraverso il quale noi, con Isabella, passiamo.

La bambina per la prima volta sull’aereo mi guarda sorpresa ma felice per questa sensazione nuova: volare. Due scali e poi un trasferimento in Puglia, a Manduria, dove vive la mia famiglia, non sono semplici e arriviamo in serata stremati. Però arriviamo. Il giorno dopo la mia prima preoccupazione è di andare in Questura, per comunicare il nostro arrivo e chiedere del protocollo per chi viene dalla Cina.

Poche ore dopo sono in contatto con il ministero della Salute che mi interroga sui nostri movimenti nelle due settimane precedenti al volo. Infatti l’opinione pubblica si focalizza sulla quarantena dopo l’arrivo, ma mi meraviglia come nessuno abbia capito che è necessario indagare se si sono frequentati luoghi affollati, se si sono incontrate persone che fossero ammalate o con il raffreddore, se si è indossata la mascherina uscendo di casa, se si è avuto a che fare con qualcuno di Wuhan. Niente di tutto questo per noi. Isabella è così piccola che la vita mondana è un miraggio e durante il Chinese New Year la città è così deserta che possiamo solo rimanere a casa.

Il ministero della Salute ci congeda suggerendoci di metterci in auto-quarantena, controllando la temperatura e i sintomi ogni giorno, e facendo attenzione ad indossare la mascherina se andiamo al cinema o in discoteca, cosa che vedo molto remota visti i ritmi della piccola. La notizia fa anche il giro dei giornali locali ed è lì che comincia la follia. Qualcuno mi mostra commenti su Facebook: “tornatevene in Cina”, “non li voliamo qui” (sic), “se gli date fuoco, mi raccomando non all’aperto che il virus continuerebbe a diffondersi”. Non mi sorprende che l’intolleranza arrivi a scrivere queste cose di una neonata, ma è bene non smettere mai di indignarsi.

Eppure il massimo arriva quando mi dicono che due persone hanno (o hanno intenzione) di denunciarci. Non si sa per cosa. So che non gli è venuto mai in mente che qualcuno possa avere già un tale senso civico da decidere di prendere precauzione già da sé prima, che venendo da una famiglia di medici dove si lava persino l’immondizia prima di portarla nella differenziata forse non pensiamo di sgattaiolare come dei topi nel loro sistema immunitario, che la mia priorità è la saluta della mia bambina prima di tentare di contaminare il Tavoliere.

Tutto penso si riduca nel sarcasmo di “non li voliamo qui”, “no, ma sono loro a volare da noi”, ma poi comincio a vedere nervosismo intorno a me, e la gente che comincia a isolarti anche se informi pubblicamente che se non c’è trasmissione di saliva, se non mi baci con la lingua, se non bevi dal mio bicchiere, se non ti sputo in bocca, anche se fossi infetto (e a quanto pare non lo sono) non potrei mai attaccarti.

La piccola Isabella deve rimanere dentro casa a spiare il sole da dietro le tende, finché la follia non sarà passata, e ci affidiamo al buonsenso di coloro che non si piegano alla paura e ai tanti che hanno scritto con solidarietà. E mentre guardo il tg con Isabella in braccio apprendo che la Cina ha dimezzato i dazi agli Stati Uniti (in cambio del vaccino e di misericordia mediatica?), e penso che la vera vittima del coronavirus sarà la Terza Guerra Mondiale.

* Ceo di Polyhedron VR Studio a Pechino