Gabriele ha 21 anni, ma da quando ne aveva appena uno soffre di gravissimi problemi cognitivi e crisi epilettiche. Ad Alessandro, invece, è stata diagnosticata la sclerosi multipla a 22 anni e da sette fa uso di cannabis terapeutica. I costi eccessivi, tuttavia, lo hanno spinto all’autoproduzione. Sono le storie degli esclusi. Anche dal decreto firmato di recente dall’assessore alla Sanità della Regione Sicilia, Ruggero Razza, provvedimento che consente di fornire la cannabis gratuitamente ai pazienti affetti da dolore cronico, dolore neuropatico e da spasticità da sclerosi multipla che si rivolgeranno alle strutture pubbliche. “La platea di pazienti che può ottenere il rimborso, in Sicilia, è estremamente limitata – hanno commentato Massimiliano Iervolino e Giulia Crivellini, segretario e tesoriera di Radicali Italiani – mentre resta esclusa la maggior parte di quelli che non hanno alternativa, non potendo trattare alcuni sintomi coi farmaci tradizionali”. Non solo: non è prevista una formazione specifica dei medici e la cannabis continua a non essere coltivabile nella regione. E il problema non riguarda solo la Sicilia. Si tratta di un quadro ricco di difformità quello che caratterizza il nostro Paese, frutto di una mancata applicazione di quanto suggerito negli anni nei richiami del Sistema sanitario nazionale.

LA POLEMICA IN SICILIA – La Sicilia è certamente tra le regioni in cui i criteri di accesso alla rimborsabilità sono particolarmente restrittivi. “Devono essere rivisti ed è necessario lavorare, parallelamente, a un piano complessivo sulla cannabis terapeutica, dalla formazione degli operatori sanitari alla produzione locale del principio attivo” spiegano i Radicali Italiani, secondo cui “le istanze dei pazienti dell’isola sono rimaste inascoltate”. Restano, di fatto, esclusi dal provvedimento regionale diversi impieghi di cannabis a uso medico, che invece erano già riconosciuti e menzionati in modo esplicito nel decreto firmato dall’ex ministro Lorenzin. Ma i problemi siciliani sono solo la punta dell’iceberg “nel Paese dove ci sono regioni che sconfessano i tavoli tecnici di altre – spiega ilfattoquotidiano.it Francesca Turano Campello, che ha partecipato per Radicali Italiani al Tavolo tecnico voluto dall’assessorato regionale alla Sanità della Sicilia – facendo emergere differenze più di visione politica, che economica dato che le relazioni annuali di spesa su cannabis sono poca cosa nel mare della spesa sanitaria regionale”.

IL QUADRO ITALIANO, TRA DIFFERENZE E LACUNE – Come si è arrivati a questa situazione? In Italia, la cannabis terapeutica è legale dal 2007 e tra il 2013 e il 2014 alcune Regioni si sono adeguate con una norma ad hoc. Nel 2015 il decreto Lorenzin ha stabilito gli impieghi per i quali si dovessero prevedere i rimborsi: per pazienti oncologici, sintomi da sclerosi multipla e Sla, glaucoma, anoressia nervosa e infezioni da Hiv. Nel 2018, il ministro Grillo ha aggiunto a questa lista le terapie del dolore e la sindrome di Gilles de la Tourette. Le Regioni che si erano già dotate di una legge ad hoc, a quel punto avrebbero dovuto adeguare le proprie norme alle nuove disposizioni. Come è avvenuto, ad esempio, in Lombardia. Quelle che dovevano ancora provvedere a disciplinare la materia, nelle norme regionali avrebbero dovuto conformarsi a quanto stabilito nei decreti. Lo ha fatto la Campania, per esempio. E avrebbe potuto farlo la Sicilia, dove invece permangono maggiori restrizioni rispetto ai decreti ministeriali. Ma non è tutto. Accanto alle regioni dove sono rimborsabili le spese per tutte le patologie ammesse nel decreto Lorenzin (per esempio Liguria, Marche, Toscana, Sardegna, Piemonte), ce ne sono altre con maggiori limitazioni (Umbria, Emilia Romagna e Sicilia) e altre ancora dove non c’è nessuna normativa vigente, come Calabria, Molise, Trentino e Valle d’Aosta.

LE STORIE – Tra limiti e vuoti normativi in Italia (che riguardano diversi aspetti delle prescrizioni) si sono create le condizioni che portano a situazioni paradossali. “Come quella del 48enne Walter De Benedetto, a cui è stata diagnosticata un’artrite reumatoide quando aveva sedici anni” ricorda Perduca, dell’associazione Luca Coscioni. Walter è invalido al 100 per cento e vive a Ripa di Olmo, frazione di Arezzo. La malattia gli provoca dolori insopportabili, alleviati solo dalla marijuana terapeutica, ma a causa del progredire della patologia la dose concessagli è diventata insufficiente. Walter ha così deciso di avviare una coltivazione illegale di cannabis, ma mesi fa i carabinieri hanno fatto irruzione, sequestrando le undici piante di cannabis e arrestando un suo amico. È scattata la mobilitazione e, alla fine, anche l’assoluzione piena, ma si è acceso il dibattito. Walter non è solo. Torniamo in Sicilia. Dove vive Alessandro Raudino, 37 anni. A 22 gli è stata diagnosticata la sclerosi multipla. Le cure tradizioni su di lui non hanno avuto effetti positivi e, negli anni, ha sviluppato un cancro al colon, che poi è riuscito a sconfiggere. Da sette fa uso di cannabis terapeutica, oggi prescritta dal neurologo. I prezzi eccessivi, tuttavia, lo hanno spinto all’autoproduzione fin dal principio. Insieme alla compagna, Florinda Vitale, ha fondato il Cannabis Cura Sicilia Social Club, che promuove la disobbedienza civile per mezzo della coltivazione. E poi c’è Gabriele, 21 anni, che soffre di gravi problemi cognitivi e crisi epilettiche. Da oltre un anno si tenta, con la cannabis, di trattare i suoi sintomi. In un primo momento il padre Stefano si è rivolto a un’associazione ad hoc per poter ottenere la prescrizione, ma in seguito ha trovato un medico disposto a prescrivere a suo figlio la cannabis di cui ha bisogno e che lo fa stare meglio. La spesa da sostenere è di circa 170 euro ogni 2-3 settimane, ma anche Gabriele è tra gli esclusi dal rimborso.

FABBISOGNO E PRODUZIONE – “Il fatto che una regione emetta un provvedimento – continua Francesca Turano Campello – non significa poi che il farmaco sia poi disponibile”. A riguardo, Marco Perduca sottolinea che “dal 2015 al 2018 non si conoscono la quantità di cannabis terapeutica distribuita, né quella importata (principalmente da Olanda e Germania), né quella effettivamente prodotta nello stabilimento Chimico farmaceutico militare di Firenze, l’unico autorizzato alla coltivazione”. Dove un decreto dell’11 novembre 2019 consente di produrre fino a 500 chilogrammi di infiorescenze di Cannabis a partire dal 2020 (nel 2019 erano 350). “Ci risulta che ci siano problemi di approvvigionamento non solo in Toscana – continua Perduca – ma anche in Puglia, Lazio, Veneto e in altre regioni”. A fornire i dati sul fabbisogno è stato, un anno fa, il sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo, rispondendo in IV commissione della Camera a un’interrogazione M5s, presentata dal presidente della commissione Agricoltura Filippo Gallinella, sul potenziamento dello Stabilimento chimico farmaceutico di Firenze per garantire l’autosufficienza italiana nella produzione di cannabis terapeutica. Secondo Tofalo il fabbisogno stimato in Italia nel 2019 avrebbe superato i 700 chilogrammi, mentre la produzione statale avrebbe potuto raggiungere una capacità produttiva di oltre 300 chilogrammi entro la fine dell’anno. “Questo significa che nel 2019 – spiegava Tofalo – vi sarà ancora l’esigenza di acquisire una considerevole parte del fabbisogno attraverso il canale dell’importazione e che nel 2020 il fabbisogno potrebbe superare addirittura i mille chilogrammi annui”. Stando a questi numeri, commenta Perduca, “l’Italia ne garantirebbe più o meno la metà”.

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