Donald Trump pare che alle armi preferisca azioni dagli effetti più efficaci. Nancy Pelosi strappa il discorso del presidente ma lui vola nei sondaggi.
Da tempo Trump si è reso conto che ridurre gli investimenti cinesi in aziende della Silicon Valley non serve a molto, così come non servono le dure rampogne delle collaborazioni tra centri di ricerca stranieri e industrie Usa specializzate nello sviluppo di Intelligenza Artificiale (Ai), e quindi perché non pensare direttamente a un divieto nell’esportazione delle tecnologie ritenute “sensibili per ragioni economiche e di sicurezza”?
Per ora, la direttiva si concentra sull’export dei software geospaziali, algoritmi capaci di identificare e classificare oggetti all’interno di immagini. Si tratta di applicazioni ampiamente utilizzate da molto tempo in ambito civile, ma con un’evidente valenza anche militare. Una misura punitiva che riguarderebbe anche i vari paesi alleati, quindi non solo quelli nemici, a cominciare dall’Iran, escluso già da tempo dall’acquisto di tecnologie Ht.
Ovviamente il vero obiettivo di Trump è bloccare l’Iran, alla ricerca di una egemonia regionale in Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Isis. Altro obiettivo è quello di impedire all’Iran di possedere armi nucleari. La strategia scelta da Trump per raggiungere questi obiettivi è quella che prende il nome di “massima pressione” contro il regime degli Ayatollah, scelta che prevede l’utilizzo di tutti gli strumenti a disposizione del potere nazionale.
Risponde a questa logica l’uscita l’8 maggio 2018 degli Usa dal Jcpoa, Joint Comprehensive Plan of Action o Piano d’azione congiunto globale. Insomma Trump punta ad ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo e per questo preferisce una net-war. Il potenziale allargamento della limitazione dell’export di tecnologie di Ai avrà effetti pesanti. Da un lato, certamente ridurrà le capacità di difesa militare di molti Paesi, ora limitati nell’acquisto di queste tecnologie americane. D’altra parte, si aprirebbero però nuove opportunità di mercato per le aziende europee del settore. Inoltre le nuove sanzioni nei confronti dell’Iran vanno a colpire le esportazioni di acciaio, alluminio, rame e ferro e anche altri settori dell’economia come l’edilizia, il tessile, l’industria manifatturiera e quella mineraria.
Obiettivo degli Usa è quello di mettere in ginocchio l’economia della Repubblica eliminando tutte le rimanenti fonti di ricavi da export del paese. Del resto il regime sciita con tutti i grattacapi che si trova ad affrontare, a cominciare dalle conseguenze politiche interne legate alla morte di Soleimani, non ha il tempo di fare una guerra armata agli Usa, persa sul lato tecnologico ma a mio avviso anche su quello della guerra asimmetrica con armi non convenzionali, non avendo a disposizione l’arma per eccellenza del “martire suicida”.
Come ricorda giustamente l’ex Case Officer della Cia Robert Baer nel suo libro The Devil we know (2008): “Dalla fine della guerra Iran-Iraq nel 1988 non abbiamo notizia di alcun kamikaze iraniano. Gli sciiti, a differenza degli estremisti sunniti takfiri, sono stati in grado di definire nel dettaglio e specificamente gli obiettivi del martirio, al di fuori di un quadro massimalista di violenza indiscriminata e del generico obiettivo rappresentato dall’indebolire il nemico. Viceversa, anche nei periodi più cruenti del terrorismo, l’Iran si è generalmente limitato ad attaccare obiettivi militari e diplomatici”.
Insomma una guerra armata o peggio “mondiale” che non vuole nessuno, a cominciare dallo stesso Trump che sta cercando di ottenere massimi vantaggi economici anche in Afghanistan, nonostante l’inviato speciale degli Stati Uniti Zalmay Khalilzad abbia dichiarato di recente l’assenza di progressi significativi nei suoi colloqui con i talebani. Lo stesso discorso vale per l’Iran che si è guadagnato nel tempo obiettivi minimi ma vitali, sia in Iraq, prima con Al Maliki e poi con Al-Mahdi, ma anche in Siria, e che vorrebbe conservare.