Saranno in dodici, coordinati dal senatore Marco Pellegrini. E avranno il compito di analizzare e ampliare le conoscenze sulle mafie pugliesi, con un focus particolare su quelle foggiane. I clan del Tavoliere e del Gargano sono l’urgenza principale che verrà affrontata dal XV Comitato della commissione Antimafia, guidato dal parlamentare del M5s. “È dai tempi di Gerardo Chiaromonte, parliamo degli anni a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta, che la commissione Antimafia non fotografa in maniera nitida le mafie pugliesi”, ricorda Pellegrini a Ilfattoquotidiano.it. Toccherà a lui, foggiano di nascita, guidare gli altri 11 commissari in quel groviglio tortuoso di clan tra Lesina e il Salento. “Lo faremo con audizioni a Roma, ma non solo – annuncia – Andremo sul territorio per un duplice motivo: capire l’aria che tira, dare un segno tangibile e simbolico della presenza dello Stato. Siamo pronti e determinati”.
Quali sono gli obiettivi?
Analisi storica e dei flussi finanziari, quindi sulla base di quanto raccolto fornire dei suggerimenti al legislatore per aumentare e affinare gli strumenti di contrasto. Da un punto di vista storico spero che il nostro lavoro serva a chiarire una volta per tutte che Sacra Corona Unita, mafie foggiane e criminalità barese sono realtà diverse. Sono rimasto colpito da un articolo del The Guardian che, qualche giorno fa, parlando della mafia foggiana, l’ha definita una costola della Scu. C’è un gap di conoscenza da colmare, speriamo di essere utili alla causa. Nella relazione conclusiva dell’ultima commissione Antimafia, per dire, alla mafia foggiana è stata dedicata una sola pagina delle 9 scritte sulle mafie pugliesi su un documento di oltre 400. Dobbiamo e vogliamo migliorare l’analisi.
Una volta fatto il quadro?
Ci dedicheremo a comprendere quali legami profondi si sono stabiliti in questi anni con la pubblica amministrazione, come dimostra lo scioglimento per infiltrazioni mafiose di quattro importanti Comuni negli ultimi cinque anni: da Monte Sant’Angelo a Manfredonia e Cerignola passando per Mattinata si tratta del “cuore” della provincia di Foggia. Quindi cercheremo di indagare e comprendere le cointeressenze dei clan con l’imprenditoria. Se scorporiamo la definizione “borghesia mafiosa” resta ciò che in provincia di Foggia è del tutto evidente: da anni esiste un patto tra clan e una fetta di imprenditoria per fare affari a tutto spiano. Basti ricordare le ragioni dell’irrisolto omicidio Francesco Marcone negli anni Novanta.
C’è stato un ritardo nell’approccio ai problemi di Foggia?
Si è trattato di una colpevole sottovalutazione per troppi anni. Faccio un esempio: tutti considerano la mafia garganica come la più antica nel Foggiano, ma la prima sentenza che ne riconosce in aula di tribunale la mafiosità è del 2006. Si sono persi a dire poco 25 anni scambiando, a tutti i livelli, i clan per famiglie che litigavano per ragioni di abigeato e ammazzavano per delitti di onore. Invece dietro c’erano usura, droga e condizionamento dell’attività imprenditoriale. La strage del Bacardi, a Foggia, avviene l’1 maggio 1986: quattro morti in un club a colpi di mitra, roba da Chicago anni Trenta. Era guerra di mafia e non aver tenuto conto di messaggi così eclatanti di certo non ha aiutato.
Gli ultimi due anni sono stati di forte repressione. Eppure le bombe di inizio 2020 dimostrano che esiste ancora una mafia vitale. Si tratta di un colpo di coda o di una risposta allo Stato?
È un rigurgito. I clan sono allo sbando e reagiscono in maniera scomposta. Adesso è il momento di assestare il colpo definitivo. Non bisogna cullarsi sui risultati perché significherebbe concedere tempo per riorganizzarsi e tornare più forti, dopo anni in cui c’è stata un’attività investigativa di qualità altissima, con forze dell’ordine e magistratura che stanno utilizzando al massimo i mezzi a disposizione.
Sono sufficienti?
Ancora no. Foggia ha delle specificità territoriali che a mio avviso si continuano a ignorare: la provincia è più grande della Liguria, ma ha solo una questura, un comando di carabinieri e Guardia di finanza, una procura e un solo tribunale. Ora finalmente arriva una sezione della Direzione investigativa antimafia.
Che lei aveva sollecitato da tempo.
Da quando sono entrato in Parlamento nel 2018, ma il precedente ministro dell’Interno Matteo Salvini non si è mai degnano di rispondermi. Luciana Lamorgese ha invece immediatamente esaminato il dossier e deciso in senso favorevole. La ringrazio. È un primo passo, ma ritengo che Foggia abbia bisogno anche di una sezione distaccata di Corte d’Appello e di una sezione distaccata della Direzione distrettuale antimafia. Ho presentato un disegno di legge apposito, spero che divenga a breve degno di attenzione.
Al di là del controllo del territorio, esiste un problema culturale?
L’assenza di anticorpi culturali è figlia del terrore. Se si consente per decenni a delinquenti di organizzarsi e diventare forti, praticando una violenza a volte primitiva, si comprende perché quei cittadini che hanno minori strumenti morali ed etici non contrastino il fenomeno mafioso. Per questo è arrivato il momento di non lottare solo con indagini, processi e carcere. C’è bisogno di cultura e lavoro per togliere ai clan un bacino dove pescare gregari e fiancheggiatori. Invece a Foggia si è lasciato che la mafia condizionasse ogni angolo dell’economia locale, opprimendo chi crea lavoro pulito. E allo stesso tempo i boss hanno fatto esibizione della violenza come strumento di controllo del territorio. Ora si sta erodendo la forza muscolare, poi bisognerà pensare al resto.
Ovvero?
Finita la bonifica militare del territorio, c’è da ripulire l’economia inquinata. Recidendo quei legami pericolosi, riusciremo a svoltare davvero. Il lavoro del prefetto Raffaele Grassi negli ultimi mesi è stato preziosissimo con l’uso massiccio di interdittive antimafia per svuotare quell’area grigia che fa affari con e per i clan.
Suo fratello Raul, avvocato, ha difeso in passato boss della mafia foggiana e oggi è il legale di alcuni membri della famiglia Romito. Non teme accuse di conflitto d’interesse visto il suo ruolo in Antimafia?
Domanda legittima e capisco che per qualcuno la nostra parentela possa essere fonte di dubbio. Le rispondo tranquillamente: lui non si è mai intromesso nel mio lavoro, io non l’ho fatto né posso farlo nel suo. La mia attività non viene condizionata né compressa dal fatto che mio fratello abbia difeso soggetti anche di spicco della mafia foggiana. Quando ci incontriamo, io non parlo di politica e lui non parla delle sue cause. Sfido chiunque a trovare qualcosa nella mia attività di non fatto o non detto a causa del suo lavoro.
Twitter: @andtundo