Mondo

Brexit, Sturgeon: “Scozia torni in Ue da indipendente, sì al referendum”. E Johnson vuole un ponte per collegarla a Nord Irlanda

La premier scozzese e leader del National Scottish Party rilancia: "Dovremmo accordarci su un processo con il governo britannico per un referendum, in linea con il chiaro mandato che ci è stato dato dai cittadini scozzesi". E il primo ministro conservatore rilancia l'idea di una grande opera tra le due nazioni più ostili alla Brexit

Il Regno Unito dice addio a Bruxelles, ma la Scozia traccia per sé un’altra strada. L’aveva detto anche alle ultime elezioni, nel giorno del trionfo di Boris Johnson. Allora come oggi per lo Scottish national party di Nicola Sturgeonche ha ottenuto a Westminster 48 seggi su 59 – la via è una sola: quella di un referendum che riporti Edimburgo in Europa. “Vogliamo tornare nel Parlamento europeo come una nazione indipendente – ha detto Sturgeon alla sua prima uscita fuori dai confini scozzesi dopo la Brexit a un evento ospitato dallo European policy centre-. È risaputo che la maggioranza degli scozzesi ha scelto di rimanere nell’Ue quando è stata fatta loro la domanda durante il referendum del 2014. Gli scozzesi, dice, si sentono europei e “in questo momento la nostra priorità è sostenere i cittadini dell’Ue a restare in Scozia e sentirsi benvenuti nel Paese. Devono sentire, come noi, che questa è la loro casa“. Sturgeon traccia una linea netta mentre dall’altra parte del North Channel, Dublino registra “la rivoluzione” del Sinn Fein, la sinistra nazionalista mai così forte alle politiche, e il premier conservatore Johnson rilancia l’idea di un ponte che colleghi Nord Irlanda e Scozia. Un simbolo del legame tra il Regno e le due nazioni più ostili alla Brexit: nazioni laddove il divorzio dall’Ue ha dato ossigeno ai fremiti di secessione.

Sturgeon: “La Scozia vuole restare nell’Unione europea” – “Stiamo lasciando l’Ue in un momento in cui non abbiamo mai beneficiato così tanto dell’Unione, in cui non c’è mai stato così tanto bisogno di Ue“, ha detto la premier, convinta che “per diventare indipendenti” sia necessario “dimostrare che questa è la volontà della maggioranza dei cittadini”. Serve quindi un referendum e non basta una dichiarazione d’indipendenza da parte del governo, perché “si tratta di una questione democratica che va risolta politicamente e democraticamente”. Quindi, dice, “dovremmo accordarci su un processo con il governo britannico per un referendum, in linea con il chiaro mandato che ci è stato dato dai cittadini scozzesi“.

Sturgeon ricorda le ragioni che hanno fatto vincere il ‘no’ nel 2014: “Sei anni fa la Scozia ha votato in un referendum e gli oppositori dell’indipendentismo hanno ripetuto più volte che restare nel Regno Unito sarebbe stato l’unico modo per rimanere anche nell’Unione europea. Credo sia giusto dire che non è andata proprio così”, ha detto Sturgeon. “Il forte sostegno all’Ue credo sia una delle ragioni principali per cui il partito che guido è andato così bene alle ultime elezioni”. La sua posizione quindi è chiara: “Il Regno Unito non è uno Stato unitario, ma un’unione volontaria di nazioni – ha evidenziato Sturgeon -. E una di queste nazioni, la Scozia, ha espresso più volte il suo sostegno all’idea di restare nell’Ue. Non credo che sia giusto che oltre 5 milioni di cittadini possono essere tolti dall’Unione europea dopo 47 anni senza nemmeno avere la possibilità di dire la propria sul futuro del Paese”. In ogni caso, “nonostante il pessimismo sulla direzione presa dal governo britannico sulle relazioni future” con l’Ue, spiega che la Scozia cercherà di influenzare “i negoziati in modo che possano portare benefici alla Scozia, al Regno Unito e all’Ue. E in particolare continueremo a sottolineare l’importanza di avere relazioni commerciali più strette possibile. Finché saremo parte del Regno Unito cercheremo d’influenzare le politica del governo e lavorare in maniera costruttiva”. Anche per garantire “la libertà di movimento nell’Ue”, che “ha dato la possibilità alle persone che vivono in Scozia di contribuire alla nostra economia e alla nostra società”.

Un ponte tra Scozia e Irlanda del Nord – A rilanciarla è il premier conservatore britannico Boris Johnson in persona, pronto a sfidare i dubbi sulla fattibilità della mastodontica opera. Johnson ha incaricato il suo staff di avviare una valutazione preliminare della cosa, ha riferito un portavoce di Downing Street. “Al momento ci prepariamo a studiare l’idea”, ha quindi puntualizzato con una nota di cautela. A Belfast l’annuncio incontra l’entusiasmo di esponenti del Dup, il maggiore partito della destra protestante unionista nordirlandese. Ma non mancano opinioni assai meno favorevoli; mentre lo scetticismo prevale a Edimburgo, specialmente da parte degli indipendentisti dell’Snp, al governo in Scozia. Interrogativi sugli ostacoli tecnici e sui costi si levano inoltre da tempo da parte di diversi specialisti. In teoria il punto più stretto per realizzare l’ipotetico ponte è di 19 chilometri, ma diversi progettisti ritengono che la struttura, poggiata su mega pilastri destinati a reggere in un mare spesso tempestoso, dovrebbe seguire un percorsi più lungo. Johnson, già promotore di grandi progetti (ponti inclusi) da sindaco di Londra, si è limitato a parlare a suo tempo di “un’idea molto interessante”, degna di essere approfondita. Mentre il deputato del Dup Ian Paisley si era detto pronto a dicembre, in caso di realizzazione reale dell’opera, di avviare una campagna per ribattezzarla “Ponte Boris”.