Occultato dalla retorica sulle riforme e dallo sportwashing (l’ultimo evento è stato un giro ciclistico), il sistema repressivo dell’Arabia Saudita funziona purtroppo alla perfezione. Amnesty International ha dedicato un lungo rapporto allo strumento principale di quel sistema, il Tribunale speciale.
Istituito già nel 2008 per processare imputati di reati di terrorismo, dal 2011 il Tribunale speciale è stato sistematicamente usato per giudicare persone – difensori dei diritti umani, scrittori, economisti, giornalisti, esponenti religiosi, sostenitori delle riforme (quelle vere!) e attivisti politici – accusate in modo del tutto vago di reati di terrorismo che spesso non sono altro che pacifiche azioni politiche.
Il rapporto di Amnesty International descrive l’attività del Tribunale speciale tra il 2011 e il 2019 attraverso l’analisi dei casi di 95 persone, per lo più uomini, processate, condannate o rinviate a giudizio: 68 imputati della minoranza sciita, incriminati per lo più di aver preso parte a proteste antigovernative, e altre 27 persone processate per l’espressione pacifica delle loro idee e per il loro attivismo in favore dei diritti umani.
Rispetto a ognuno dei 95 imputati, l’organizzazione ha concluso che i processi sono stati gravemente irregolari. Le condanne, in molti casi alla pena capitale, sono state inflitte sulla base di accuse vaghe legate alla criminalizzazione dell’opposizione politica o per fatti di violenza. Dei casi esaminati, 52 stanno scontando condanne da cinque a 30 anni e altri 11 sono tuttora sotto processo, sempre per l’esercizio pacifico della libertà di espressione o di associazione.
Le accuse più comuni sono: “disobbedienza alla famiglia reale”, “messa in discussione dell’integrità dei funzionari dello stato e del sistema giudiziario”, “incitamento alla disobbedienza attraverso l’invito a manifestare” e “costituzione di un’organizzazione priva di autorizzazione”. Si tratta di atti protetti dai diritti alla libertà di espressione, di manifestazione e di associazione.
Ogni singolo imputato nei processi esaminati da Amnesty International non ha avuto accesso a un avvocato dal momento dell’arresto e per tutti gli interrogatori. Gli appelli contro le sentenze del Tribunale speciale si svolgono a porte chiuse e in assenza degli imputati e degli avvocati.
Uno degli aspetti più sconvolgenti è l’utilizzo di “confessioni” estorte con la tortura. Almeno 20 sciiti processati dal Tribunale speciale sono stati condannati a morte sulla base di tali “confessioni” – tra questi anche tre minorenni al momento del reato: Ali al-Nimr, Abdullah al-Zaher e Dawood al-Marhoon – e 17 condanne sono state già eseguite.
Infine, il Tribunale speciale ha condannato tutti i fondatori dei gruppi indipendenti per i diritti umani, sciolti nel 2013. Tra questi, gli 11 fondatori dell’Associazione saudita per i diritti civili e politici e altri difensori dei diritti umani.