Anche l’Unione europea, come richiesto ieri dal ministero degli Esteri italiano, si è messa al lavoro per monitorare la situazione e arrivare il prima possibile alla liberazione di Patrick George Zaki, lo studente egiziano dell’università di Bologna arrestato nei giorni scorsi al suo rientro nel Paese con le accuse, hanno poi rivelato i suoi avvocati, di “diffusione di false informazioni per minare la stabilità nazionale, incitamento a manifestazione senza permesso, tentativo di rovesciare il regime, uso dei social media per danneggiare la sicurezza nazionale, propaganda per i gruppi terroristici e uso della violenza”. “Siamo al corrente del caso”, ha dichiarato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, che rispondendo ai giornalisti ha spiegato che è stata l’Italia a richiamare l’attenzione sul caso. “Stiamo valutando con la nostra delegazione Ue al Cairo e, se necessario, intraprenderemo le adeguate azioni. Appena avremo raccolto più informazioni saremo in grado di dire qualcosa di più concreto”. Stano ha comunque voluto specificare che Bruxelles “continua a seguire il tema dei diritti umani in Egitto, sta cercando di stabilire tutti i fatti e se sarà necessaria un’iniziativa l’Unione sosterrà in pieno le autorità italiane”.
Intanto, dopo le parole e la richiesta di trasparenza del vicepresidente del Parlamento europeo, Fabio Massimo Castaldo (M5s), il gruppo degli europarlamentari pentastellati si è esposto su Twitter chiedendo “il rilascio immediato dell’attivista egiziano Patrick George Zaki. Il governo egiziano renda note le circostanze che hanno portato all’arresto, noi non permetteremo che ci sia un nuovo caso Regeni. Dobbiamo agire adesso, prima che sia troppo tardi”.
I vertici del Master Gemma di Bologna, dove il giovane stava svolgendo i propri studi, hanno fatto sapere ai microfoni di RaiNews24 che “era necessario metterci insieme e ci siamo ritrovati, il rettore e i prorettori, e abbiamo costituito una sorta di unità di crisi, di gruppo di lavoro, per prendere contatti col governo e col ministero. Vogliamo fargli arrivare, spero lui lo sappia, il messaggio che non lo lasceremo solo”, ha detto la coordinatrice Rita Monticelli.
E anche l’amministrazione comunale del capoluogo emiliano ha voluto manifestare la propria vicinanza allo studente, con il sindaco Virginio Merola che ha commentato il partecipato flash mob di domenica sera. “Bologna si mobilita per Patrick George Zaki, studente egiziano che frequenta un master nella nostra Università – ha scritto su Facebook – Si trova in carcere, è stato arrestato per motivi legati al suo attivismo per i diritti umani. È bene tenere alta l’attenzione, l’abitudine alla detenzione preventiva per opinioni politiche tacciate di terrorismo è tipica dei regimi autoritari“.
I legali della famiglia Regeni, sentiti da Repubblica, hanno evidenziato gli aspetti in comune con il caso del ricercatore di Fiumicello, sostenendo che a sequestrare Zaki sono stati gli stessi apparati che hanno rapito e ucciso Giulio Regeni: “Patrick è stato arrestato per i suoi studi in Italia. Chissà che paranoia si sono costruiti. A prenderlo è stata la Sicurezza nazionale, il servizio segreto civile, lo stesso coinvolto nel sequestro, tortura e omicidio di Giulio e che ha cinque ufficiali indagati per questo dalla procura di Roma. Lo hanno interrogato con metodi che, purtroppo, conosciamo bene. Le torture. E gli chiedono il perché del suo viaggio in Italia, perché studiasse da voi e che cosa facesse nel vostro Paese”, ha detto Mohamed Lotfy. “L’omicidio di Giulio – ha aggiunto – continua a essere un’inaccettabile spina nel fianco per il nostro governo e, in qualche modo, ci sono anche delle analogie con l’arresto di Patrick. Sono studenti in un Paese in cui la cultura fa molta paura“.
E anche la tempistica del fermo, secondo l’avvocato, non è casuale: “Non è un caso che l’arresto di Patrick sia avvenuto proprio in questo periodo, poco dopo (l’anniversario delle, ndr) manifestazioni di piazza Tahrir del 25 gennaio – ha fatto notare Lofty – In questi giorni ci sono stati moltissimi arresti di chiunque abbia manifestato dissenso. E non è un caso che nello stesso periodo, quattro anni fa, Giulio fu sequestrato”. “Noi siamo stanchi di essere vittime di una paranoia di regime che ci controlla e ci spia 24 ore su 24 – ha concluso – Stanchi di vivere in un Paese che ci vuole dire che cosa dobbiamo fare, che cosa dobbiamo dire. Mia moglie è stata arrestata proprio poche ore dopo una nostra lunga conversazione di lavoro con la famiglia Regeni, nella quale abbiamo parlato di Giulio e delle indagini. È stata in carcere per sette mesi, ora è a casa ma si deve recare in caserma periodicamente per firmare. Siamo controllati ogni minuto. Ci vogliono fare stancare. Vogliono impaurirci. Ma noi siamo qui, a chiedere all’Europa di difendere la nostra libertà, la nostra democrazia. Per Patrick, per gli egiziani. E per Giulio”.