Ancora una manciata di ore e si saprà se Francesco avrà avuto la forza di aprire la strada alla prospettiva di un clero sposato nella Chiesa cattolica di rito latino. Il suo documento Querida Amazonia, sui risultati del sinodo amazzonico, sarà pubblicato mercoledì 12 febbraio.

Dopo tre settimane di un dibattito estremamente aperto i vescovi del sinodo regionale amazzonico hanno formulato, infatti, a ottobre la richiesta al Papa di istituire un clero uxorato. Richiesta approvata, secondo le regole, a maggioranza di due terzi. Al paragrafo 111 del documento finale è scritto con chiarezza che l’assemblea sinodale propone di “ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti della comunità, che abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, potendo avere una famiglia legittimamente costituita e stabile”. Sarebbe una svolta cruciale. Nella Chiesa cattolica, infatti, esistono già preti sposati nel rito cosiddetto orientale (o bizantino) e per quanto riguarda le comunità anglicane, che hanno voluto passare in blocco al cattolicesimo. Ma per il rito latino tale possibilità è esclusa e al contrario si esalta la “scelta celibataria”.

Ma cosa fare in quelle comunità del Terzo Mondo, sparse per distanze immense, dove un prete può arrivare soltanto una volta l’anno o ogni due anni? La questione si agita sin dai tempi del Concilio quando iniziò il dibattito sull’eventualità di ordinare sacerdoti “viri probati”, cioè uomini in età, di provata fede e moralità, sposati.

Ci furono sinodi ai tempi di Giovanni Paolo II, in cui dietro le quinte ferveva la discussione sulla necessità e l’urgenza di superare il sistema attuale delle “ostie findus”. Ostie consacrate altrove e trasportate in aereo per centinaia e migliaia di chilometri in modo da poterle distribuire a parrocchie senza prete, sperdute nella foresta o nella savana.

Tutto è rimasto fermo e bloccato sino all’avvento di papa Francesco. Non molto dopo la sua elezione un vescovo austriaco in missione in Amazzonia, monsignor Erwin Kraeutler, gli aveva posto il problema. E Francesco aveva riposto che la proposta sarebbe dovuta venire dal basso, dai vescovi del luogo. In ciò papa Bergoglio si mostrava fedele al suo principio di costruire una Chiesa sinodale, comunitaria, in cui le decisioni non vengono prese unicamente dall’alto – a Roma – ma maturano nella consultazione dei vescovi di una determinata regione o di tutto il mondo.
Ora il momento è arrivato. Il sinodo dell’Amazzonia ha fatto ufficialmente la sua richiesta. Eppure voci insistenti dall’interno del Vaticano affermano che Francesco nel suo documento non sembra pronto ad affrontare di petto il problema. Prelati, che hanno visto le bozze ai primi di gennaio, dicono che il papa argentino non dà apertamente il suo placet alla richiesta dei vescovi.
E’ prudente in genere non rincorrere il gioco dei sussurri nel palazzo apostolico. Ma la nettezza con cui alcuni dall’interno del Vaticano affermano che svolta non ci sarà, suscita tuttavia interrogativi.

Un segnale importante viene dall’Avvenire. Stefania Falasca, editorialista del giornale dei vescovi e amica personale del pontefice, scrive in un lungo articolo dedicato all’imminente documento papale che bisogna concentrarsi sull’esigenza di “conversione” emersa dal dibattito sinodale amazzonico. Conversione “ecologica, sociale, culturale e pastorale”. L’Avvenire richiama le parole conclusive di Francesco e la sua esortazione a prestare attenzione soprattutto alla “diagnosi” della situazione, al “peccato ecologico” che colpisce nei suoi effetti soprattutto i poveri.

Insomma, l’insistenza è principalmente sul Vangelo sociale del Papa e sull’ascolto del grido disperato della natura e dei popoli. Scrive l’editorialista dell’Avvenire che vi è stata “eccessiva attenzione data dai media sui punti intra-ecclesiali (clero sposato e ruolo delle donne, ndr)” e che è saggio “non lasciarsi offuscare da chi usa la Chiesa in Amazzonia per altri interessi”. In realtà tutto ciò ha l’aria di un mettere le mani avanti.

Tutti sanno che la svolta centrale dei sinodi sulla famiglia è consistita nel dare ai divorziati risposati la possibilità di fare la comunione. I sinodi non avevano permesso questo cambiamento nei loro documenti. E’ stato Francesco ad aprire la breccia nella sua esortazione post-sinodale Amoris Laetitia, dando luce verde al cambiamento: in maniera obliqua, con una nota a pie’ pagina, senza nemmeno nominare la parola comunione.

Questa volta invece la situazione appare paradossalmente rovesciata. I vescovi amazzonici si sono espressi con chiarezza, con un voto indiscutibile a maggioranza di due terzi, e il Papa invece sembra esitare a rispondere con un “Sì” esplicito.

La verità è che nel grande corpo della Chiesa c’è una massa consistente di vescovi e cardinali del tutto contraria all’idea di una svolta. Francesco è nella morsa dell’opposizione, che lo accusa aggressivamente di svendere i punti basilari della tradizione cattolica. L’opposizione dell’ex papa Ratzinger e del cardinale Sarah è stata clamorosa. Ma nelle sue linee generali il documento di Francesco era già stato scritto quando è esplosa a polemica. Però già prima si era fatto strada il brontolio minaccioso e sotterraneo del partito anti-riforme. Partito più grande delle solite personalità conservatrici, che intervengono abitualmente. Come i cardinali Mueller e Brandmueller.

Sintomo della dura opposizione sotterranea all’eventualità di ordinare preti uomini sposati è stato l’altolà sul Corriere della Sera del cardinale Ruini: “Spero e prego che il Papa non confermi (la richiesta sinodale)”. Ruini, già presidente della conferenza episcopale italiana, è un personaggio di peso. E soprattutto non parla mai a caso. Ci sono parecchie centinaia di Ruini tra i vescovi del mondo. Se si tenesse un sinodo mondiale di vescovi, difficilmente la proposta di un clero sposato otterrebbe la maggioranza dei due terzi.

Ma Francesco è un combattente tenace, sa andare a zig zag, remare controvento (come ha detto ai suoi confratelli gesuiti). Mercoledì si alza il sipario e vedremo la versione finale del suo documento. Per il pontificato di Bergoglio è un momento cruciale.

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