Società

L’odio ‘a senso unico’ ha un solo obiettivo. E non è il libero confronto

Se volessimo esprimerci con Spinoza, dovremmo dire che l’odio è una “passione triste”. Si contrappone alle passioni euforiche della letizia e della gioia, della baldanza e dell’entusiasmo propositivo. E tuttavia l’odio chiede – sempre con Spinoza – di essere anzitutto compreso, prima di venire aprioricamente deriso e demonizzato.

Una cosa è certa e sotto gli occhi di tutti. Il pensiero unico politicamente corretto ed eticamente corrotto, che fa da permanente sfondo ideologico del dominio della classe egemonica cosmopolitica, usa sempre la patologia per delegittimare il corpo sano. Per gli aedi cosmopoliti della catechesi del verbo unico e dell’idem sentire globale, la famiglia (corpo sano) è in quanto tale femminicidio e patriarcato regressivo (patologia). Ancora, la patria è in quanto tale il nazionalismo belligerante. Il non sequitur è lampante: sarebbe come dire che il polmone è in quanto tale la polmonite. E che, dunque, per combattere la polmonite è d’uopo combattere il polmone. Prodigi del nuovo ordine mentale!

In termini analoghi, potremmo dire che l’odio è la variante patologica della critica e del dissenso. Critica e dissenso, in sé, sono un corpo sano: che deve essere tutelato e difeso, perché cresca sempre sano e non degeneri nelle sue possibili patologie. Tra le quali v’è appunto l’odio: che è il dissenso portato alla sua figura iperbolica, dove la rabbia prevale sulla ragione, la vis distruttiva sul confronto critico.

Il fabula docet è che occorre combattere contro l’odio e, insieme, valorizzare e tutelare la critica e il dissenso, che sono peraltro il sale della democrazia: che in teoria dovrebbe essere il solo governo che tutela la critica e il dissenso, su di essi fondandosi nella forma del libero confronto tra i diversi.

L’operato dei monopolisti del discorso e della loro catechesi subculturale di completamento del diagramma degli asimmetrici rapporti di forza è facilissimo da individuare: basti vedere il modus operandi di Fabio Fazio, il garbato nuncius sidereus del mondialismo astrattamente “buonista”, concretamente cinico quanto spietato. Proprio l’altra sera ha lanciato l’ennesima “campagna contro l’odio”. Dove – questo il punto – l’“odio” è sic et simpliciter tutto ciò che si opponga al monopolio dell’odio di classe autorizzato dei padroni del caos senza confini; dell’odio, cioè, che lo stesso Fazio, con il suo sorriso autentico quanto l’“amore per l’umanità” proclamato dal padronato cosmopolita, non perde occasione di celebrare in prima serata.

Ma che cos’è realmente l’odio a cui si oppongono gli apostoli della società arcobalenizzata a forma di merce? Forse è l’odio come violenza quotidiana, verbale e fisica verso l’altro? Solo in apparenza. A questo tipo di odio quotidiano, ça va sans dire, siamo tutti contrari. Ed è anzi tautologico ripeterlo. Ma questo – si badi – è l’odio che gli aedi del classismo no border usano solo come strumento per colpire un altro odio, che è quello che sta loro veramente a cuore debellare.

I padroni del discorso a senso unico hanno, in verità, un altro obiettivo: usano la nobile etichetta della “lotta contro l’odio” per colpire ogni figura possibile della critica e del dissenso rispetto alla società reificata, alla dittatura permanente dei mercati e al cosmomercatismo dei ceti possidenti liquido-finanziari.

È il solito non sequitur: usano la patologia dell’odio per colpire il corpo sano della critica e del dissenso. Con il paradosso che debbono, in tal guisa, essere contrastati come “odiatori” quanti critichino, anche con toni forti, le contraddizioni della società a forma di merce. In questo modo, la lotta contro l’odio si capovolge in lotta contro la libertà di critica e di dissenso. Tale libertà sarà sempre più spesso – statene certi – diffamata e ostracizzata in nome della “lotta contro l’odio”. Con la bacchetta magica del clero regolare giornalistico, le giubbe gialle e i pensatori non allineati diventano “odiatori” (haters li appella la neolingua mercatista): e, come tali, debbono essere combattuti.

Si genera, così, la figura paradossale dell’odio contro gli odiatori: l’odio del capitale contro ciò che possa rovesciarlo o anche solo indicarlo come contraddizione principale si autolegittima presentandosi come garbata, democratica e levigata risposta ai veri odiatori, cioè ai non allineati con il nuovo ordine mondiale, sul piano socio-economico, e con il nuovo ordine mentale, sul piano delle superstrutture.

E questo, peraltro, avviene in un tempo – il tempo della “notte del mondo” (Hölderlin) – cui l’odio delle classi cosmopolite verso i ceti nazionali-popolari e le classi medie e lavoratrici ha raggiunto livelli mai sperimentati prima.

Ecco, se v’è un odio – il solo – legittimo è, a mio giudizio, quello con cui la classe dominata degli sconfitti della mondializzazione deve rispondere all’odio che quotidianamente, dall’alto, le classi dominanti scaricano unidirezionalmente su di essa. Come la sola guerra legittima è quella di resistenza, così il solo odio legittimo è quello di resistenza. Lo disse bene Edoardo Sanguineti nel 2007: “Perché loro ci odiano, dobbiamo ricambiare. Loro sono i capitalisti, noi siamo i proletari del mondo d’oggi”.