Nove tribunali di sorveglianza, Venezia, Lecce, Taranto, Brindisi, Cagliari, Napoli, Caltanissetta, Potenza e Salerno, avevano espresso i loro dubbi sulla legittimità della Spazzacorroti per quella norma-chiave della legge che ha portato a una stretta sui benefici penitenziari per i condannati per i reati più gravi contro la pubblica amministrazione e fatto finire in carcere condannati come Roberto Formigoni. Oggi a sorpresa per bocca dell’avvocato dello Stato, Massimo Giannuzzi che rappresenta la presidenza del Consiglio davanti alla Consulta, arriva la richiesta di non applicare retroattivamente l’articolo che limita la concessione dei benefici penitenziari ai condannati per alcuni reati contro la pubblica amministrazione. Il legale ha chiesto alla Consulta di pronunciare una sentenza interpretativa di rigetto della questione di incostituzionalità, che chiarisca che la norma limitativa dei benefici penitenziari non si applica ai reati commessi prima dell’entrata in vigore della legge.
Sotto esame della Corte costituzionale è l’articolo 1 che – al comma 6 lettera b – stabilisce che si applica anche ai reati più gravi contro la pubblica amministrazione, commessi prima dell’entrata in vigore della legge, l’articolo 4 bis dell’ ordinamento penitenziario: si tratta della norma che esclude una serie di gravi delitti, come quelli di mafia e terrorismo, dalla concessione dei benefici penitenziari, se il condannato non collabora. Una norma che la stessa Corte costituzionale ha già recentemente “picconato”: occupandosi di condannati per mafia, la Consulta ha stabilito che, almeno per i permessi premio, deve essere il magistrato di sorveglianza a valutare caso per caso se questi benefici possano essere concessi o meno a prescindere dalla collaborazione, a condizione però che siano stati recisi i legami con la criminalità organizzata e che il detenuto partecipi al percorso rieducativo.
Stavolta in discussione è la retroattività della stretta sui benefici per corrotti e corruttori, condannati per fatti commessi prima dell’entrata in vigore della Spazzacorrotti, che ora in forza della legge non possono ottenere nemmeno le misure alternative alla detenzione. Il tribunale di sorveglianza di Venezia, capofila degli uffici giudiziari che hanno investito la Consulta, richiama la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha ritenuto applicabile il principio di irretroattività della legge penale sfavorevole (contenuto anche nel nostro ordinamento) anche agli istituti che implicano variazioni nell’esecuzione della pena, in base all’articolo 7 della Convenzione dei diritti dell’uomo.
È per questo che secondo i magistrati veneti la norma della Spazzacorrotti sarebbe in contrasto con gli articoli 25 (“nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”) e 117 della Costituzione, che vincola il legislatore a rispettare gli obblighi internazionali. Non solo: sarebbero violati anche gli articoli 3 e 27 della Costituzione per due ragioni. Sia perché si introdurrebbe un’irragionevole disparità di trattamento tra condannati per gli stessi reati, a seconda che la loro istanza di ammissione a una misura alternativa alla detenzione sia stata esaminata anteriormente o successivamente all’entrata in vigore della legge. Sia perché la preclusione per legge dei benefici inciderebbe sul percorso rieducativo del condannato.
“La legge non è incostituzionale ma è possibile intervenire da parte della Corte Costituzionale con una ‘interpretativa di rigetto’ che dia una nuova lettura della sua applicabilità, formulando l’affermazione che tutte le norme che peggiorano lo stato di libertà del detenuto vadano lette in termini di non retroattività”. Giannuzzi sottolinea che “ogni norma che incide sulla libertà personale del detenuto è norma di diritto sostanziale, rispetto a un profilo meramente formalistico, dove deve tenersi conto in questa materia non solo del punto di vista dell’autorità statale. Lo Stato di Diritto deve essere riferimento di tutti, quale che sia la parte che si rappresenta”. Prima dell’intervento dell’Avvocatura dello Stato e dopo la relazione affidata al giudice costituzionale Francesco Viganò, cinque legali difensori delle parti sono intervenuti per sostenere la incostituzionalità.
“Si tratta di una decisione cruciale per la tenuta dello stato di diritto di fronte all’arbitrio punitivo dello Stato – ha sottolineato l’avvocato Vittorio Manes – E non può realizzarsi un cambio di scenario improvviso, per chi aveva la ragionevole previsione di accedere alle misure penitenziali alternative alla reclusione in carcere, per cui va esteso il principio di irretroattività come garanzia del singolo, ponendo in gioco sia la funzione rieducativa che la proporzionalità della pena. Lo Stato non può cambiare le carte in tavola a sorpresa, altrimenti il cittadino sarebbe un suddito assoggettato all’arbitrio dello Stato leviatano“. Anche per l’avvocato Gian Domenico Caiazza, “la retroattività della legge è incostituzionale: basti pensare alla deroga al regime ostativo determinata dalla collaborazione prestata con l’autorità giudiziaria, che l’imputato non aveva motivo di prendere in considerazione prima dell’entrata in vigore delle nuove norme, con conseguenze a dir poco beffarde”, anche nella considerazione proposta dagli altri avvocati Amilcare Tana, Tommaso Bortoluzzi e Ladislao Massari, che “i benefici penitenziari non sono alternative alla pena ma pene alternative al carcere”.