Finalmente sono riuscito a smettere di fumare ancora in vita, sarebbe stato scocciante smettere di fumare per ragioni cadaveriche. E ho smesso di fumare grazie alla frase di un mio amico scultore che mi ha detto: “Ricky, io non ho smesso di fumare, a me il fumo piace, ho solo rimandato la prossima sigaretta”. Questo è quello che si chiama understatement, un modo d’essere e di vedere le cose in leggerezza, col filtro (a proposito di filtri) dell’ironia, senza lasciarsi trasportare dall’enfasi, senza alcun tipo di retorica.
Chi vive la propria vita sotto il segno dell’understatement, vive un’esistenza di superficie e non superficiale, dove per superficie intendiamo “sintesi abissale”. L’essere umano che pratica l’understatement non potrà mai essere salviniano per esempio, mai “fasciocitofonista”, mai, scoppierebbe a ridere di se stesso, l’uniforme della retorica si scucirebbe, salterebbero i bottoni e le medaglie, tutti i citofoni del mondo si metterebbero a cantare, cioè a dire la verità: il re è nudo e ce l’ha piccolo, piccolissimo, abbasso il re! Chi pratica l’understatement non muore: evita di respirare. Chi pratica l’understatement non ama: gestisce il proprio apparato genitale con filantropia. Chi pratica l’understatement diventa ateo solo per farsi corteggiare da Dio in persona, la prima, la seconda e la terza persona!
Un amico di mio zio Joe, il signor Gatto, ex dirigente della Philips, si era risposato con una giocatrice di pallavolo, era nata una figlia, poi Gatto si era ammalato di una male incurabile, lo ricordo sdraiato sul lettino della mia tenda, mentre guardava la moglie e la figlia giocare sulla battigia, ricordo che mi disse con voce delicata e sguardo limpido: “Non ho paura di morire, mi spiace, mi spiace molto non vedere crescere la mia bambina“. Questo è l’understatement più bello, più raro, più prezioso, quello che ti viene davanti alla tragedia, all’irrimediabile, è l’eleganza al cospetto della vertigine. Non dimenticherò mai il signor Gatto. Quando sarà il mio turno vorrei avere il suo understatement.
Qualcuno ha detto: l’umorismo è la cortesia della disperazione. Quindi sono riuscito a smettere di fumare, l’ho fatto per cortesia verso le mie cellule, non è carino farle impazzire. Un tumore è sempre vanesio, se potesse parlare direbbe: tutte le cellule impazziscono per me. Smettere di fumare non rende immortali, sia ben chiaro, e nemmeno immuni dai tumori, morire è un’abitudine, un vizio inestirpabile, però almeno non diamo il famoso “aiutino” alla morte, lasciamo che sia la morte a fare il suo mestiere, senza fare il tifo per lei, senza stendere tappeti rossi, senza azionare la moviola delle cellule.
Una sera mi trovavo in compagnia del mio amico Silvano Agosti, eravamo all’Oberdan di Milano per una rassegna cinematografica, un critico di cui non ricordo il nome stava fumando una sigaretta e ci disse: “Arrivo subito, finisco la sigaretta”. Silvano sorrise e gli rispose: “Non sei tu che stai finendo la sigaretta, ma è lei che sta finendo te”. Ecco, ma voi fumate pure per carità, non voglio fare terrorismo, tanto finiremo tutti dentro un grande portacenere prima o poi.
In questo video spiego meglio come ho smesso di fumare, buona visione, se avete tempo e pazienza, accendetevi pure una sigaretta, a me non date fastidio, un caro saluto.