Escluso il serpente e individuato in un piccolo mammifero il possibile untore è ancora caccia aperta all’ospite intermedio che potrebbe aver fatto da ponte fra i pipistrelli e l’uomo, scatenando l’epidemia di nuovo coronavirus. Nonostante siano già state avanzate ipotesi e ricostruzioni scientifiche, l’Oms evidenzia infatti che è ancora giallo sulla fonte animale del contagio, quella che ha fatto scattare la trasmissione umana, e caldeggia la risoluzione definitiva del mistero, dedicando un focus nell’ultimo report sull’epidemia proprio alla sfida di identificare la via battuta dal virus per arrivare fino al paziente zero.
I fari sono puntati su Wuhan, la megalopoli cinese dove tutto è cominciato, al mercato in cui si sono concentrate le prime infezioni di origine allora sconosciuta. C’è stato un trampolino di lancio che ha permesso al patogeno responsabile della malattia battezzata Covid-19 di fare il salto di specie. Alla sbarra era già finito il serpente per primo, poi l’indiziato numero 1 è diventato il pangolino, mammifero con le scaglie tanto ricercato per carni e corazza. Ma per l’Agenzia Onu per la salute il rebus è ancora lì: “La via di trasmissione di 2019-nCoV agli umani all’inizio di questa epidemia rimane poco chiara. Identificare la fonte animale del virus contribuirebbe a garantire che non ci saranno ulteriori epidemie simili in futuro”, scrive nero su bianco l’Oms. Ecco perché la missione è considerata cruciale.
“Sia gruppi di esperti cinesi che team esteri” ci stanno lavorando. “L’attuale ipotesi più probabile – riepiloga l’Oms – è che un animale ospite intermedio abbia avuto un ruolo”. E per arrivare all’interfaccia animale-uomo sfruttata dal virus sotto la lente finisce la componente zoonotica del 2019-nCoV. Dall’indagine stanno emergendo indizi importanti. Per esempio aumentano le prove che dimostrano il legame fra il nuovo coronavirus e altri coronavirus noti circolanti nei pipistrelli, più precisamente nelle sottospecie Rhinolophus, abbondanti e ampiamente presenti nella Cina meridionale e in Asia, Medio Oriente, Africa ed Europa.
Studi recenti indicano che sono stati identificati più di 500 coronavirus nei pipistrelli del gigante asiatico. Non solo: “Gli studi sierologici condotti sulla popolazione rurale che vive vicino all’habitat naturale dei pipistrelli nelle caverne hanno rivelato una sieroprevalenza di bat-CoV (coronavirus del pipistrello) pari al 2,9%, dimostrando che l’esposizione umana a questi patogeni potrebbe essere comune”, rileva l’Oms.È tutto quello che succede dopo che resta avvolto nella nebbia: “I pipistrelli sono rari nei mercati cinesi, ma vengono cacciati e se la destinazione è alimentare vengono venduti direttamente ai ristoranti”, è il ragionamento riportato dall’Oms. “L’attuale ipotesi più probabile è dunque che un ospite intermedio” abbia permesso al virus di ‘staccare il biglietto’, destinazione uomo.
Gli occhi sono puntati sul pangolino per questo: il ‘formichiere che si arrotola’ è una star del mercato nero. Lo inseguono gli estimatori della carne selvatica di specie rare e preziose, e chi si cura con la medicina orientale. Del resto, come ha ricordato nei giorni scorsi anche il Wwf, “circa 17 anni fa la Sars è comparsa in un mercato cinese che vendeva civette delle palme, dei piccoli mammiferi viverridi. Altre famose pandemie come l’Aids ed Ebola sono state ricollegate ad un passaggio tra animali selvatici – come scimpanzé e gorilla probabilmente bracconati in foresta – e l’ospite umano”.
L’identificazione della fonte animale del nuovo coronavirus “aiuterà dunque anche a comprendere la diffusione iniziale della malattia nell’area di Wuhan. Aumenterebbe anche la nostra comprensione del virus e ci aiuterebbe a capire come questi patogeni saltano dagli animali agli umani, fornendo conoscenze cruciali su come proteggerci da eventi simili futuri – conclude l’Oms – A questo proposito, il rafforzamento delle attività di controllo e delle procedure igieniche nei mercati degli alimenti vivi sarà essenziale”.