Noi forse non ce ne accorgiamo, ma il Google Play Store, il market digitale da cui scaricare le app per gli smartphone Android, negli anni è diventato qualcosa di più di un semplice hub da cui gestire le funzionalità aggiuntive del nostro smartphone, trasformandosi in uno strumento fondamentale per la qualità della nostra user experience. Tuttavia, molto spesso, il Play Store è anche il luogo principale di diffusione dei malware e dei virus, o comunque di vari tipi di minacce informatiche che mettono a repentaglio la sicurezza dei nostri dati e della nostra privacy su smartphone. Ultimamente Google ha lavorato molto su questo aspetto, implementando ad esempio Google Play Protect, e nel 2019 i risultati si sono visti.

Grazie agli strumenti proattivi messi a punto da Google, le applicazioni presenti sul Play Store che richiedono l’accesso a zone particolarmente sensibili del nostro smartphone come premessa per un loro corretto funzionamento, sono diminuite addirittura del 98%.

Ancora, 790mila sono state invece le applicazioni che non hanno mai raggiunto gli utenti attraverso il Play Store, per problemi di sicurezza o policy troppo blande per le gestione di questi stessi permessi. Infine, sono salite a ben 100 miliardi le app scansionate ogni giorno da Google Play Protect, alla ricerca della presenza di eventuale codice malevolo.

Foto: Depositphotos

Ovviamente si tratta di risultati assai positivi, ma Google è ben conscia di non aver risolto i problemi alla radice, e di non potersi quindi permettere di dormire sui propri allori. Hacker, truffatori e malintenzionati di ogni tipo studiano infatti ogni giorno nuove soluzioni per aggirare i controlli implementati, ottenendo anche successo. Per questo il colosso di Mountain View recentemente ha anche avviato diverse collaborazioni con aziende specializzate nella produzione di antivirus e altre soluzioni per la protezione dei dati. Nel frattempo la nostra prima (e migliore) linea di difesa è sempre il buon senso: utilizzare solo app note e ritenute affidabili e verificare che il produttore sia quello vero e non una software house sconosciuta che propone un prodotto dal nome simile a quello più famoso, col palese intento di ingannare l’utente. Infine non concedere i permessi di accesso a funzioni sensibili dello smartphone, come telecamera, microfoni o rubrica dei contatti a meno che non si valuti la cosa come indispensabile per il funzionamento dell’app stessa, come ad esempio nel caso di Telegram o WhatsApp.

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