"Se me lo ha ucciso, mi dia almeno le ossa": la madre di Mauro Romano, scomparso da Racale 43 anni fa e mai ritrovato, ha commentato così la notizia della carcerazione per presunti atti di pedofilia di chi nel 1977 venne fermato dalla polizia perché aveva cercato di estorcere 30 milioni di lire alla famiglia disperata per la sparizione del figlio. I due coniugi venerdì andranno dai pm che hanno riaperto il caso per raccontare nuovi dettagli
“Se me lo ha ucciso, mi dia almeno le ossa. Io adesso tremo tutta. Piango. Vomito sangue mentre cammino, mentre mangio, mentre dormo”. La signora Bianca Colaianni è intenta a leggere i giornali nel giorno successivo all’arresto di A.S., 69 anni, presunto pedofilo di Taviano, il paese vicino al suo, Racale, in provincia di Lecce. Non è quell’uomo un uomo qualunque: è accusato di aver abusato, negli ultimi due anni, di almeno 17 ragazzini tra gli 11 e i 14 anni e di un maggiorenne; è la stessa persona che venne condannata per tentata estorsione nei confronti di Bianca e del marito Natale Romano dopo la scomparsa di Mauro, il loro bambino di sei anni rapito e svanito nel nulla il 21 giugno 1977. “Dateci 30 milioni se volete rivedere vostro figlio” era il tenore di sette telefonate ricevute dai coniugi nei giorni successivi alla scomparsa. Parlava al plurale quell’uomo, diceva che poteva dare prova del fatto che Mauro fosse ancora vivo, tagliandogli un dito della mano o un orecchio, per spedirlo ai suoi. Chiedeva di fare presto: “Mauro non sta bene, prova dolore, gli stiamo dando morfina e cianuro”. Venne sorpreso dai carabinieri in una cabina della Sip, al termine dell’ultima drammatica telefonata: “Se non vi affrettate a portarmi i soldi, ve lo faremo trovare in un pozzo”. “Ma non venne fermata la moglie che era con lui in quel momento né venne sequestrata l’auto, per risalire a eventuali tracce”, ricostruisce Bianca. Fra due giorni, nel pomeriggio di venerdì 14 febbraio, Bianca e il marito Natale, come hanno richiesto, saranno ascoltati dal pm della Procura di Lecce Stefania Mininni, che ha riaperto il fascicolo sulla scomparsa del bambino anche a seguito della richiesta avanzata dall’avvocato della famiglia, Antonio La Scala. “Apparentemente, non c’è nessun collegamento tra la vicenda di Mauro e quella dei ragazzini adescati – spiega il legale – ma auspichiamo che anche per la prima venga adesso battuta la pista della pedofilia, trascurata all’epoca. È giusto che si approfondisca se il 69enne di Taviano era un pedofilo già allora”.
Il gip: “Sceglie le sue vittime tra i ragazzi più piccoli” – Negli ultimi tempi, le voci in paese si erano fatte insistenti: un uomo molto grande, coinvolto nel caso di Mauro, aveva uno strano rapporto con un gruppo di ragazzini delle medie. A volte li seguiva con la bicicletta, li attendeva fuori da scuola, li invitava a giocare a carte nella sua casa in campagna. Nei mesi scorsi, è stato il padre di un 12enne a scoperchiare il tutto e a sporgere denuncia. Ha seguito il figlio in quel casolare e si è trovato di fronte ad una scena assurda: l’anziano stava baciando sulla bocca un altro ragazzino e si è giustificato dicendo che gli stava insegnando come si fa con le ragazze. Era ciò che diceva a tutti per attirarli nella sua rete. Quegli adolescenti avrebbero subito approcci anche più spinti: palpeggiamenti, rapporti orali, rapporti completi. Inizialmente ascoltati dal pm, assistiti da una psicologa, hanno avuto difficoltà a riferire per intero i fatti. Poi lo hanno fatto. La conferma è arrivata anche dalle chat dei ragazzini: “Nonnu” è il nome con cui si riferivano a lui.
Quegli abusi andavano avanti almeno a partire da gennaio 2018 e sono proseguiti fino ad aprile 2019. Nell’agosto scorso, all’anziano sono stati sequestrati lo smartphone, una sim, un pc portatile e quattro memorie microSD. Ieri è stato arrestato dai carabinieri del Nucleo investigativo provinciale con l’accusa di violenza sessuale continuata e ripetuta ai danni di minorenni e di continuata realizzazione di materiale pedopornografico. “I delitti perpretrati – ha scritto il gip Giulia Proto nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere – denotano un’elevata pericolosità sociale di A.S. che sceglie le sue vittime tra i ragazzi più piccoli, bambini di appena 11 anni, tenuto conto che le condotte sono iniziate almeno nel 2018, ossia soggetti particolarmente vulnerabili che non sono in grado di opporsi ai perversi istinti sessuali di un uomo di quasi 70 anni che attira le sue vittime con abili espedienti, facendo leva sul sentimento di aggregazione insito in tutti gli adolescenti, che grazie al loro carnefice hanno uno spazio dove giocare a carte, mangiare pizze o panini, fumare sigarette”. L’interrogatorio a carico del 69enne è fissato per domani.
Il ruolo dell’uomo nella scomparsa di Mauro e le ricerche in un pozzo – “È lui che deve parlare ora. Mi aspetto che confessi, che dica chi c’era con lui, perché non era solo, in ogni telefonata usava il plurale”. La signora Bianca lo ripete con insistenza. Appena due chilometri separano Racale da Taviano, ma in questi 43 anni i genitori di Mauro non una sola volta sono andati a parlare di persona con A.S.: “Ho voluto evitare reazioni inconsulte di mio marito, avevamo altri figli da tutelare – dice Bianca – però abbiamo riferito tutto alle autorità, messo per iscritto. All’epoca sbagliarono molto durante le indagini, ma io ho ancora fiducia nella magistratura, adesso ci sono più prove e sento che l’arresto di quest’uomo è un punto di svolta”.
Non c’è solo la coincidenza relativa alla stessa persona. C’è anche dell’altro: a dicembre, le forze dell’ordine hanno scandagliato un pozzo a Taviano. Versione ufficiale: si cercavano armi. Quella più probabile, invece, è che si stessero cercando delle ossa. E non in un luogo qualunque: il terreno sarebbe lo stesso su cui sorge il casolare punto di incontro dei ragazzini adescati. Non è dato sapere se siano stati trovati dei resti e di che tipo, “ma qualcuno deve aver indirizzato gli investigatori proprio lì – riflette l’avvocato La Scala – e quella del pozzo, tra l’altro, è una storia che ritorna: nell’ultima delle sette telefonate fatte all’epoca, A.S. disse ai coiniugi Romano che avrebbero fatto trovare il bambino in un pozzo se non si fossero affrettati a trovare i soldi”. Poco credibile per tutti la pista del sequestro di persona a scopo di estorsione: la famiglia Romano non era benestante, non avrebbe avuto alcuna possibilità di pagare un riscatto da 30 milioni di lire.
“Clima omertoso accentuato dalla pedofilia” – Mauro scomparve da via Immacolata, in località Castelforte, a Taviano, mentre giocava a nascondino con altri coetanei davanti all’abitazione dei nonni, quel pomeriggio del 21 giugno 1977. I genitori erano in Campania per i funerali di un parente, lo scoprirono al loro rientro, il giorno dopo. Gli amichetti presenti raccontarono di una macchina bianca, di un uomo dalla corporatura robusta e sulla quarantina d’anni. Era un’altra persona rispetto ad A.S., che all’epoca di anni ne aveva appena 25. Anche per questa ragione si presume che ad agire siano stati almeno in due. Dopo essere stato sorpreso nella cabina da cui telefonava alla famiglia per estorcerle denaro, A.S. all’inizio condusse i carabinieri in alcuni casolari dove disse di aver nascosto il bambino. Poi ritrattò, affermando di essersi inventato tutto. Nel 1984, venne condannato in via definitiva a quattro anni e sei mesi solo per tentata estorsione.
Nel 2010, Vito Paolo Troisi, boss della Scu all’ergastolo per omicidio, scrisse una lettera ai genitori di Mauro: nel 1977 aveva otto anni, disse di aver visto tutto perché era lì al momento del rapimento e aggiunse di voler parlare solo con il procuratore Cataldo Motta, che lo aveva arrestato, per riferigli quanto sapeva. Non venne ascoltato. Sono due le inchieste naufragate sulla scomparsa e tanti i misteri irrisolti, tra cui le accuse nei confronti del padre di un altro bambino, testimone di Geova anche lui come i genitori di Mauro, e il furto, nel 2015, della copia del fascicolo d’inchiesta conservato nella casa di famiglia. “Ora – aggiunge l’avvocato La Scala – i coniugi Romano vogliono raccontare al pm qualcosa in più che all’epoca non hanno detto, per paura, per timore o forse perché praticavano una religione da cui poi si sono dissociati”. Potrebbe essere questo solo un dettaglio, oppure no: secondo il legale, in un “clima omertoso accentuato dalla pedofilia” potrebbe aver inciso l’appartenza ad un “gruppo religioso molto unito e riservato, specie allora”. “Da vent’anni – conferma Bianca – non voglio saperne più di nessuna religione e non credo più neppure all’esistenza di Dio. Però penso che qualcuno, amici o vicini di casa, possa aver visto e non aver parlato”.