Italia Viva farà cadere il governo Conte sulla prescrizione? Pare certo, al di là di tutto, che le prossime elezioni, quale che ne sia il calendario e l’esito, segneranno la fine del partitino di Matteo Renzi e quindi sarebbe opportuno che ci pensasse almeno tre volte prima di provocarle. Ma vedremo che succede.
La morbosa attenzione della stampa per i poco qualificanti giochini autoreferenziali che tengono occupata la nostra deplorevole classe politica ha contribuito nel frattempo ad allontanare dall’attenzione i nodi sostanziali del problema della prescrizione e del funzionamento della giustizia in generale. Sembrerebbe che la disputa sia tra i cosiddetti garantisti che vorrebbero una prescrizione breve, tale da liberare in tempi rapidi imputati e indagati dall’incubo del processo, e i cosiddetti giustizialisti, che paventano invece che in tal modo masse di delinquenti sfuggirebbero al loro giusto castigo. Una descrizione molto semplificata che giova soltanto alla spettacolarizzazione di basso livello di temi estremamente delicati e dai risvolti tecnici complessi e articolati.
Parole chiare le ha scritte a proposito Domenico Gallo, il quale ha il merito di centrare il problema quando scrive che “parole come ‘garantismo’ o ‘giustizialismo’ non hanno alcun senso in quanto troppo spesso sono state evocate per mascherare una rivendicazione di impunità del ceto politico-affaristico insidiato dalla crescente capacità di controllo esercitata dall’autorità giudiziaria, ma servono soltanto ad attivare opposte tifoserie”.
Egli poi individua efficacemente le radici storiche dell’attuale problema della prescrizione quando ricorda come tutto cominciò quando uno dei vari governi Berlusconi introdusse, nel 2005, una disciplina discriminatoria dell’istituto, diminuendo i termini per i reati commessi dai colletti bianchi e allungandoli invece per quelli commessi dai recidivi. Ne è risultata, afferma Gallo, “la creazione di uno spazio di impunità di fatto soprattutto per i reati dei colletti bianchi (che pure, almeno in alcuni casi, sono estremamente dannosi per la collettività)” ed è stato “incoraggiato l’uso improprio delle garanzie processuali per allungare i tempi del processo”.
Una situazione abnorme che costituisce uno dei tanti legati negativi di Berlusconi, che i successivi governi non sono riusciti a risanare. Sul tentativo di Alfonso Bonafede, aggiunge Gallo, si può essere critici, ma occorre vagliarne con attenzione gli effetti e diffidare dei “sostenitori interessati dello Stato di diritto”.
A mio parere, sulla prescrizione è in atto uno scontro a suono di leggi-manifesto, proclami o grida di manzoniana memoria. Gli uni vogliono approfittare della sacrosanta indignazione popolare per il fatto che taluni colpevoli riescano a sfuggire alla condanna grazie alla prescrizione, gli altri ammiccano a coloro che sono terrorizzati da un’eccessiva estensione nel tempo del potere punitivo dello Stato. Nessuno fa un discorso serio, che dovrebbe invece essere basato sui seguenti tre elementi:
1. Rafforzamento della giustizia mediante immissione in ruolo di nuovi contingenti di giudici, in modo tale almeno da coprire le carenze di organico e mediante nuovi investimenti nel settore.
2. Depenalizzazione dei comportamenti che non destano allarme sociale, a partire da quelli legati al possesso di sostanze stupefacenti, in modo tale non solo da alleggerire i processi penali ma anche da svuotare le carceri sempre sovraffollate, come denunciano gli stessi agenti di polizia penitenziaria.
3. Allungamento delle pene (e conseguentemente dei termini di prescrizione) per i reati dei colletti bianchi, dagli incidenti sul lavoro all’evasione fiscale di grandi proporzioni, ai disastri ambientali, alla corruzione e alla compravendita dei voti, indirizzando l’azione penale alla repressione di questi reati, ma sempre nella consapevolezza che il processo penale non può costituire il surrogato di soluzioni su altri piani che restano urgenti e necessarie.
Se proprio vogliamo definire questo atteggiamento, direi che debba trattarsi di un garantismo di classe, volto a tutelare i diritti dei più deboli. Tutela di cui fa parte, quando necessaria, anche la repressione di chi, realizzando le fattispecie previste dalla norma penale, li viola, chiunque esso sia. L’esatto contrario, insomma, sia del vacuo populismo penale che del finto garantismo alla Ghedini.