Vince, ma di poco, Bernie Sanders. Tiene bene Pete Buttigieg. Sorprende Amy Klobuchar. Crollano Elizabeth Warren e Joe Biden. Le primarie in New Hampshire, che assegnano 24 delegati, hanno confermato alcune cose: Sanders e Buttigieg sono al momento i due sfidanti più forti; avanza Klobuchar, che si divide il voto moderato con Buttigieg e che conferma come l’eleggibilità, la capacità di battere a novembre Donald Trump conquistando il voto degli indipendenti, sia per molti elettori democratici un criterio importante. In generale, la sfida resta aperta. Non c’è al momento un candidato che mostra la capacità di guidare sugli altri e di riunificare l’ala moderata e quella progressista del partito.
I risultati finali sono arrivati alla fine di una serata ancora una volta lunga, in cui la distanza tra Sanders e Buttigieg si è progressivamente assottigliata. Il senatore del Vermont ha ottenuto il 25,9% dei voti. Buttigieg arriva molto vicino, con il 24,4%. Amy Klobuchar è al 19,7%, mentre Elizabeth Warren si ferma al 9,3%. Joe Biden conquista l’8,4% dei consensi.
“Questa vittoria è l’inizio della fine di Donald Trump”, ha detto Bernie Sanders dal podio di Manchester, dove ha atteso i risultati insieme a centinaia di sostenitori. Il New Hampshire ha confermato alcune caratteristiche della campagna del senatore: anzitutto, la straordinaria capacità di mobilitare il voto giovanile. Anche questa volta college e università sono stati il cuore più entusiasta del suo consenso. Un rally alla University of New Hampshire a Durham, la sera prima del voto (insieme ad Alexandria Ocasio-Cortez e Cornel West), ha raccolto oltre 8mila persone. Sanders mostra la sua forza anche nei centri urbani dello Stato: Manchester, Nashua e Concord. E gli ha probabilmente giovato l’attacco a Buttigieg poco prima del voto: “Prende i soldi dai miliardari”, ha accusato.
Il senatore esce comunque da queste primarie senza un vero, grande successo. Per lui, eletto in Vermont, questo era il cortile di casa. Nel 2016 aveva vinto contro Hillary Clinton con oltre 150mila voti; il 60% dei consensi. Oggi ne prende 72mila. Se Sanders è dunque il frontrunner, la sua candidatura non è al momento capace di allargarsi oltre le fasce tradizionali del suo consenso. Anche in Nevada, il prossimo appuntamento, il senatore appare favorito. Deve però affrontare una grana dell’ultima ora: la potente Culinary Union, il sindacato che raccoglie 60mila lavoratori tra ristoranti e hotel, gli ha dichiarato guerra perché Sanders “cancellerebbe la nostra assistenza sanitaria”.
In New Hampshire, Pete Buttigieg conferma di essere l’alternativa a Sanders. Ha iniziato il suo discorso post-elettorale salutando proprio il senatore del Vermont, “che ammiro da quando ero studente alla high school e che rispetto moltissimo oggi”, ha detto. Dopo l’omaggio, è arrivato però l’affondo. I democratici “non dovrebbero trovarsi a scegliere tra rivoluzione e status quo – ha detto – Molti americani non sentono di appartenere a questa visione polarizzata”. L’ex sindaco di South Bend – a 38 anni il più giovane dei candidati – sembra aver goduto, anche in New Hampshire, di una generale tendenza dei democratici alla moderazione. Secondo un sondaggio Cnn, gli elettori che apprezzano oggi un messaggio moderato sono circa il 33%; erano il 27% nel 2016. Nel suo discorso post-voto Buttigieg ha quindi messo in guardia contro la “purezza ideologica” che farebbe rischiare all’America altri quattro anni di Donald Trump. Interessante anche la frase, pronunciata in spagnolo, in cui l’ex-sindaco ha detto che “questo Paese è di tutti, è anche vostro” e l’allusione al movimento Black Lives Matter quando ha parlato del “giovane uomo che teme per la sua sicurezza all’apparire delle luci di una macchina della polizia”. Si è trattato, da parte di Buttigieg, del riconoscimento della sua debolezza presso ispanici e afro-americani e della necessità di recuperare consensi nelle due comunità.
La sorpresa della serata è stata Amy Klobuchar, la senatrice del Minnesota finita in terza posizione. Klobuchar ha capitalizzato la buona performance offerta nell’ultimo dibattito televisivo in New Hampshire. Moderata del Minnesota, punta anche lei a conquistare il voto indipendente, quello dei sobborghi urbani moderati e dei repubblicani delusi da Trump. Rispetto a Buttigieg – che ha definito ironicamente “un novizio figo” – esibisce un carattere più granitico, volitivo, e una minore tendenza al compromesso. Ha attaccato senza mezzi termini la riforma sanitaria di Sanders e Warren e fatto una promessa: “Immaginatemi sul palco contro Donald Trump!”. Il voto del New Hampshire le dà slancio, senza dimenticare però i limiti della sua candidatura: Klobuchar non può contare su una gran organizzazione in Nevada e South Carolina, i prossimi due Stati dove si voterà, e non ha un conto in banca paragonabile ad altri candidati. Dalla sua ha però un vantaggio: rispetto a Buttigieg, potrebbe incarnare il candidato moderato di maggiore esperienza, quindi più affidabile.
È stata invece una bruttissima serata per Elizabeth Warren e Joe Biden. La senatrice del Massachussetts è stata la prima a parlare nella notte elettorale. Si è congratulata con Sanders e Buttigieg e ha lodato la “resilienza” di Klobuchar. Ha detto che la sua campagna è “pensata sul lungo periodo” e messo in guardia i democratici dall’ingaggiare “uno scontro rabbioso”. Questa è la linea di Warren sin dall’inizio di questa campagna: evitare contrapposizioni, proporsi come la candidata che può unire l’ala progressista e quella moderata dei democratici. La sconfitta in New Hampshire era ampiamente attesa, visti i sondaggi nelle ore precedenti il voto. In una mail a sostenitori e media, Warren aveva messo le mani avanti e spiegato che la sua linea non cambia: un messaggio politico concentrato sui programmi, una strategia elettorale che punta ad accumulare delegati, distretto dopo distretto. Sicuramente, la senatrice ha i fondi e l’organizzazione per continuare l’avventura elettorale almeno sino al Super Tuesday del 3 marzo. C’è però da chiedersi quanto possa andare avanti, senza vincere almeno uno Stato e senza mostrarsi capace di essere davvero competitiva. Il quarto posto in New Hampshire, ben lontana da Klobuchar, è per Warren un campanello d’allarme.
Ancora peggio è andata a Joe Biden. Anche in questo caso i sondaggi pre-voto parlavano chiaro, tanto che Biden è volato in South Carolina senza aspettare il risultato finale. Proprio da là si è rivolto ai sostenitori spiegando che “ora si va in Nevada e poi in South Carolina e poi avanti e avanti ancora”. Minimizzare è in questo momento la parola d’ordine della sua campagna che punta ad arrivare al voto del South Carolina, il prossimo 29 febbraio, dove la forte presenza di afro-americani dovrebbe dargli la vittoria. Biden e i suoi contano sul “modello Bill Clinton”, che nel 1992 vinse una sola delle prime 11 primarie per poi conquistare il South Carolina e prendere la rincorsa verso la vittoria. Biden non manca però di drammatizzare un’eventuale sconfitta. “Unite the Country”, il Super Pac che lo finanzia, ha lanciato l’allarme. Nel caso il liberalismo centrista e affidabile di Biden fosse messo fuori gioco, i democratici si troverebbero a scegliere tra un miliardario e un socialista, tra Michael Bloomberg e Bernie Sanders. “Uno scenario da fine del mondo”, secondo “Unite the Country”. Né gridare al lupo né minimizzare le sconfitte sembrano però ridare fiato a Biden. Per mesi è stato lui il favorito, ora la sua campagna è entrata in fase pre-coma.
Dopo l’arrivo dei risultati del New Hampshire, due candidati hanno annunciato il ritiro. Si tratta di Andrew Yang, l’imprenditore dell’high-tech, e Michael Bennet, anche lui imprenditore ed ex-senatore del Colorado. Oggi dovrebbe ritirarsi anche l’ex-governatore del Massachussetts, Deval Patrick. Fiaccati da percentuali vicine allo zero, hanno deciso di uscire di scena. Una scelta che razionalizza il campo degli sfidanti, sinora affollato come mai nel passato.