Un principio seguito dalla giurisprudenza finora. E tutti coloro che avevano fatto ricorso contro l'ingresso in carcere dopo una sentenza definitiva si erano visti respingere l'istanza. Il ministro della Giustizia Bonafede: "Quella era un’interpretazione che facevano i giudici". Renzi all'attacco: "Chi ha orecchi per intendere intenda #Prescrizione"
Un principio seguito dalla giurisprudenza finora. E tutti coloro che avevano fatto ricorso contro l’ingresso in carcere dopo una sentenza definitiva si erano visti respingere l’istanza. Da Roberto Formigoni (poi andato ai domiciliari) ad alcuni imputati del processo Mondo di mezzo. E solo ieri la Spazzacorrotti aveva aperto le porte del carcere all’avvocato Piero Amara, protagonista di due inchieste su sentenze pilotate. Ma la Consulta, dopo l’udienza di ieri, ha stabilito che è illegittima l’applicazione retroattiva della Legge Spazzacorrotti per incompatibilità con l’articolo 25 della Costituzione che prevede che “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. Ieri, a sorpresa, l’avvocato dello Stato, che rappresentava la Presidenza del consiglio, aveva chiesto proprio una pronuncia in tal senso. Il comma non può essere applicato a chi ha commesso i reati precedentemente all’entrata in vigore della legge.
Al vaglio dei giudici erano finite le “censure” di nove tribunali di sorveglianza, Venezia, Lecce, Taranto, Brindisi, Cagliari, Napoli, Caltanissetta, Potenza e Salerno, che avevano espresso i loro dubbi sulla norma che ha portato a una stretta sui benefici penitenziari per i condannati per i reati più gravi contro la pubblica amministrazione e fatto finire in carcere condannati per i reati più gravi contro la pubblica amministrazione come corruzione, concussione e altri. “In particolare, è stata denunciata la mancanza di una disciplina transitoria – si legge nella nota della Consulta – che impedisca l’applicazione delle nuove norme ai condannati per un reato commesso prima dell’entrata in vigore della legge n. 3/2019”.
Il verdetto sarà depositato nelle prossime settimane, ma nel frattempo i giudici hanno “preso atto che, secondo la costante interpretazione giurisprudenziale, le modifiche peggiorative della disciplina sulle misure alternative alla detenzione vengono applicate retroattivamente, e che questo principio è stato sinora seguito dalla giurisprudenza anche con riferimento alla legge” Spazzacorrotti. La Corte ha dichiarato che questa interpretazione è costituzionalmente illegittima con riferimento alle misure alternative alla detenzione, alla liberazione condizionale e al divieto di sospensione dell’ordine di carcerazione successivo alla sentenza di condanna. Secondo la Corte, infatti, l’applicazione retroattiva di una disciplina che comporta una radicale trasformazione della natura della pena e della sua incidenza sulla libertà personale, rispetto a quella prevista al momento del reato, è incompatibile con il principio di legalità delle pene, sancito dall’articolo 25, secondo comma, della Costituzione”.
Certo è che in passato le decisioni sono state differenti anche su una questione delicatissima quella del 41 bis, per il carcere duro ai mafiosi. Finito al vaglio della Consulta nel 1993, nel 1997 e 1998, nel 2017 sembrava avere retto l’urto di chi sollevava le questioni sulle condizioni di detenuti condannati per mafia o terrorismo. Poi i giudici – dopo una sentenza di Strasburgo – ha dichiarato incostituzionale l’articolo 41 bis che da tempo i boss volevano abbattere da oltre 25 anni.
“La Legge Bonafede viene giudicata incostituzionale dalla Suprema Corte, nel primo ricorso discusso oggi. Il giustizialismo può essere approvato in Parlamento ma poi viene bocciato in Corte Costituzionale. Non è che l’inizio. Chi ha orecchi per intendere intenda #Prescrizione” scrive Matteo Renzi su Twitter. In realtà i giudici sono intervenuti sulla retroattività della norma e non sulla norma nella sua interezza. “Io rispetto la sentenza della Corte e aspettiamo di leggere le motivazioni” ma “dal comunicato si evince che la Consulta chiarisce come una parte della legge, che riguarda l’irrigidimento dell’accesso ai benefici penitenziari, non può essere applicata retroattivamente. Quella era un’interpretazione che facevano i giudici, non c’è una norma a riguardo nello Spazzacorrotti – spiega, ai cronisti in Transatlantico, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede – Si interviene sull’interpretazione e l’applicazione della norma questo è quel che si evince dal comunicato e non possiamo che prenderne atto e rispettare la decisione. Voglio però chiarire che non c’era una norma della legge Spazzacorrotti che diceva che si doveva applicare retroattivamente, quella era una interpretazione che facevano i giudici, c’era un indirizzo giurisprudenziale su cui adesso la Corte interviene”, sottolinea il Guardasigilli.