Doveva replicare alle accuse del pentito che lo ha fatto finire indagato nell’ultima inchiesta sulla strage di Capaci. Ma non si è presentato in aula davanti alla corte d’assise di Caltanissetta. È giallo al processo ‘Capaci bis‘ dove era atteso questa mattina Giovanni Peluso, l’ex poliziotto ed ex 007 indagato per la strage. A inizio udienza il Procuratore generale Lia Sava e il sostituto Antonino Patti hanno detto alla Presidente della Corte, Andreina Occhipinti, che Peluso “non si è presentato”. “Mi è stato detto fino a due giorni fa che doveva presentarsi”, spiega Patti. “Ma fino a pochi minuti fa non si è ancora presentato al bunker”. Giovanni Peluso, l’ex sovrintendente della Polizia di Stato, con un passato in servizio a Napoli e Roma, è stato indagato per la strage di Capaci e per associazione mafiosa in seguito alle dichiarazioni del pentito Pietro Riggio. Secondo l’accusa della procura di Caltanissetta il campano Peluso avrebbe ricoperto il ruolo di “compartecipe ed esecutore materiale della strage di Capaci”. A questo punto la presidente della Corte ha deciso di andare avanti con l’udienza chiamando a deporre il collaboratore di giustizia Francesco Geraci, collegato in videoconferenza.
Nei giorni scorsi, Giovanni Peluso aveva fatto sapere alla Procura generale che avrebbe avuto ”degli impedimenti” per potere presenziare al processodi Capaci-bis. Ma fino ad oggi non è mai arrivato alcun atto formale che confermasse l’impedimento. A questo punto, alla fine dell’udienza, la presidente della Corte Occhipinti ha disposto l’accompagnamento coattivo di Peluso per il prossimo 25 febbraio, accogliendo la richiesta del sostituto procuratore generale Antonino Patti. L’ex poliziotto doveva essere sentito in merito alle dichiarazioni fatte dal pentito Riggio. Quest’ultimo ha raccontato ai pm che il poliziotto gli rivelò di aver preso parte alla strage di Capaci. “Un ex poliziotto (Giovanni Peluso, ndr) mi ha confidato di aver partecipato alla fase esecutiva della strage Falcone – raccontò il collaboratore di giustizia – si sarebbe occupato del riempimento del canale di scolo dell’autostrada con l’esplosivo, operazione eseguita tramite l’utilizzo di skateboard”. Frasi smentite durante un confronto dallo stesso Peluso.
Durante l’udienza la corte ha ascoltato la deposizione del pentito Francesco Geraci, che ha ricostruito i retroscena della cosiddetta “missione romana“, durante la quale si sarebbe dovuto uccidere nella Capitale, su ordine di Totò Riina, Giovanni Falcone, nei primi mesi del ’92, mentre questi era direttore degli Affari penali del Ministero della giustizia. “Quando partimmo per Roma, io sono andato con Enzo Sinacori in aereo, Matteo Messina Denaro è partito con Renzo Tinnirello, e Giuseppe Graviano è partito con Fifo De Cristoforo. Avevamo compiti differenti – ha raccontato Geraci – cercavamo Maurizio Costanzo, Michele Santoro, Pippo Baudo e Giovanni Falcone perché dovevamo ucciderli. Quando uscivamo eravamo a gruppi, ero io con Sinacori, Graviano con Fifo De Cristoforo e Messina Denaro con Tinnirello. La macchina l’abbiamo affittata a nome mio perché ero io che avevo la carta di credito. Per quella trasferta Messina Denaro diede 5 milioni di lire ciascuno. A Roma siamo stati circa 9 giorni”.
Il collaborare ha continuato: “Ci dissero che dovevamo uccidere i giornalisti per allontanare l’attenzione dalla Sicilia e creare dei casini al Centro Italia. Portare l’attenzione sui vecchi brigatisti. Ne parlava Matteo Messina Denaro”. Geraci ha ricostruito nel corso dell’udienza alcuni particolari del progetto di morte. “Si parlava di mettere il tritolo in un bidone dell’immondizia o una macchina vicino al teatro dove si faceva il Maurizio Costanzo Show. Io e Sinacori siamo andati anche a fare un sopralluogo. Di armi – ha aggiunto – a Roma non ne ho viste. Le avevo viste invece a Mazara Del Vallo quando le stavano preparando. C’erano dei kalashnikov che Matteo Messina Denaro e Enzo Sinacori provarono. C’erano delle pistole. Moltissime armi comunque”.
Il collaboratore ha ricostruito i legami che lo legavano agli altri boss: “Matteo Messina Denaro lo conoscevo perché giocavamo assieme da bambini, abitavamo vicini. Facevo moltissime rapine, iniziai a 17 anni, pure con un sequestro di persona e mi sono rivolto a Matteo Messina Denaro, ho cercato la sua protezione perche non mi succedesse più nulla”. Prima della messione a Roma, ha invece ricostruito il teste “andammo a Palermo, con Messina Denaro, ad una riunione, alla quale non mi fecero prendere parte, credo perché non contavo niente. C’erano Matteo Messina Denaro, Renzo Tinnirello, i fratelli Graviano, Enzo Sinacori, Salvatore Biondo, e lì si è deciso che si doveva andare A Roma. Nella Capitale eravamo io Matteo Messina Denaro, Giuseppe Graviano, Renzo Tinnirello, Enzo Sinacori, e un’altra persona. Mi portarono a Roma perché avevo l’American Express che gli faceva comodo”. Gli imputati del “Capaci bis” sono i boss Salvo Madonia, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro, Lorenzo Tinnirello e Vittorio Tutino. I primi quattro, in primo grado, vennero condannati all’ergastolo mentre Tutino venne assolto per non aver commesso il fatto.
Mafie
Strage di Capaci, l’ex poliziotto indagato non si presenta al processo. Il pentito: “A Roma dovevamo uccidere pure Baudo e Santoro”
Giovanni Peluso, l’ex poliziotto ed ex 007 indagato per la strage dopo le dichiarazioni del pentito Pietro Riggio, non si è presentato al processo di Caltanissetta: la corte dispone l'accompagnamento coattivo. Il pentito Geraci: "Nel 1992 siamo andati a Roma, cercavamo Maurizio Costanzo, Michele Santoro, Pippo Baudo e Giovanni Falcone perché dovevamo ucciderli"
Doveva replicare alle accuse del pentito che lo ha fatto finire indagato nell’ultima inchiesta sulla strage di Capaci. Ma non si è presentato in aula davanti alla corte d’assise di Caltanissetta. È giallo al processo ‘Capaci bis‘ dove era atteso questa mattina Giovanni Peluso, l’ex poliziotto ed ex 007 indagato per la strage. A inizio udienza il Procuratore generale Lia Sava e il sostituto Antonino Patti hanno detto alla Presidente della Corte, Andreina Occhipinti, che Peluso “non si è presentato”. “Mi è stato detto fino a due giorni fa che doveva presentarsi”, spiega Patti. “Ma fino a pochi minuti fa non si è ancora presentato al bunker”. Giovanni Peluso, l’ex sovrintendente della Polizia di Stato, con un passato in servizio a Napoli e Roma, è stato indagato per la strage di Capaci e per associazione mafiosa in seguito alle dichiarazioni del pentito Pietro Riggio. Secondo l’accusa della procura di Caltanissetta il campano Peluso avrebbe ricoperto il ruolo di “compartecipe ed esecutore materiale della strage di Capaci”. A questo punto la presidente della Corte ha deciso di andare avanti con l’udienza chiamando a deporre il collaboratore di giustizia Francesco Geraci, collegato in videoconferenza.
Nei giorni scorsi, Giovanni Peluso aveva fatto sapere alla Procura generale che avrebbe avuto ”degli impedimenti” per potere presenziare al processodi Capaci-bis. Ma fino ad oggi non è mai arrivato alcun atto formale che confermasse l’impedimento. A questo punto, alla fine dell’udienza, la presidente della Corte Occhipinti ha disposto l’accompagnamento coattivo di Peluso per il prossimo 25 febbraio, accogliendo la richiesta del sostituto procuratore generale Antonino Patti. L’ex poliziotto doveva essere sentito in merito alle dichiarazioni fatte dal pentito Riggio. Quest’ultimo ha raccontato ai pm che il poliziotto gli rivelò di aver preso parte alla strage di Capaci. “Un ex poliziotto (Giovanni Peluso, ndr) mi ha confidato di aver partecipato alla fase esecutiva della strage Falcone – raccontò il collaboratore di giustizia – si sarebbe occupato del riempimento del canale di scolo dell’autostrada con l’esplosivo, operazione eseguita tramite l’utilizzo di skateboard”. Frasi smentite durante un confronto dallo stesso Peluso.
Durante l’udienza la corte ha ascoltato la deposizione del pentito Francesco Geraci, che ha ricostruito i retroscena della cosiddetta “missione romana“, durante la quale si sarebbe dovuto uccidere nella Capitale, su ordine di Totò Riina, Giovanni Falcone, nei primi mesi del ’92, mentre questi era direttore degli Affari penali del Ministero della giustizia. “Quando partimmo per Roma, io sono andato con Enzo Sinacori in aereo, Matteo Messina Denaro è partito con Renzo Tinnirello, e Giuseppe Graviano è partito con Fifo De Cristoforo. Avevamo compiti differenti – ha raccontato Geraci – cercavamo Maurizio Costanzo, Michele Santoro, Pippo Baudo e Giovanni Falcone perché dovevamo ucciderli. Quando uscivamo eravamo a gruppi, ero io con Sinacori, Graviano con Fifo De Cristoforo e Messina Denaro con Tinnirello. La macchina l’abbiamo affittata a nome mio perché ero io che avevo la carta di credito. Per quella trasferta Messina Denaro diede 5 milioni di lire ciascuno. A Roma siamo stati circa 9 giorni”.
Il collaborare ha continuato: “Ci dissero che dovevamo uccidere i giornalisti per allontanare l’attenzione dalla Sicilia e creare dei casini al Centro Italia. Portare l’attenzione sui vecchi brigatisti. Ne parlava Matteo Messina Denaro”. Geraci ha ricostruito nel corso dell’udienza alcuni particolari del progetto di morte. “Si parlava di mettere il tritolo in un bidone dell’immondizia o una macchina vicino al teatro dove si faceva il Maurizio Costanzo Show. Io e Sinacori siamo andati anche a fare un sopralluogo. Di armi – ha aggiunto – a Roma non ne ho viste. Le avevo viste invece a Mazara Del Vallo quando le stavano preparando. C’erano dei kalashnikov che Matteo Messina Denaro e Enzo Sinacori provarono. C’erano delle pistole. Moltissime armi comunque”.
Il collaboratore ha ricostruito i legami che lo legavano agli altri boss: “Matteo Messina Denaro lo conoscevo perché giocavamo assieme da bambini, abitavamo vicini. Facevo moltissime rapine, iniziai a 17 anni, pure con un sequestro di persona e mi sono rivolto a Matteo Messina Denaro, ho cercato la sua protezione perche non mi succedesse più nulla”. Prima della messione a Roma, ha invece ricostruito il teste “andammo a Palermo, con Messina Denaro, ad una riunione, alla quale non mi fecero prendere parte, credo perché non contavo niente. C’erano Matteo Messina Denaro, Renzo Tinnirello, i fratelli Graviano, Enzo Sinacori, Salvatore Biondo, e lì si è deciso che si doveva andare A Roma. Nella Capitale eravamo io Matteo Messina Denaro, Giuseppe Graviano, Renzo Tinnirello, Enzo Sinacori, e un’altra persona. Mi portarono a Roma perché avevo l’American Express che gli faceva comodo”. Gli imputati del “Capaci bis” sono i boss Salvo Madonia, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro, Lorenzo Tinnirello e Vittorio Tutino. I primi quattro, in primo grado, vennero condannati all’ergastolo mentre Tutino venne assolto per non aver commesso il fatto.
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(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Più che le conclusioni del Consiglio europeo sembrano un bollettino di guerra, con i nostri governanti che, in un clima di ubriacatura collettiva, programmano una spesa straordinaria di miliardi su miliardi per armi, missili e munizioni. E la premier Meloni cosa dice? 'Riarmo non è la parola adatta' per questo piano. Si preoccupa della forma e di come ingannare i cittadini. Ma i cittadini non sono stupidi! Giorgia Meloni come lo vuoi chiamare questo folle programma che, anziché offrire soluzioni ai bisogni concreti di famiglie e imprese, affossa l’Europa della giustizia e della civiltà giuridica per progettare l’Europa della guerra?". Lo scrive Giuseppe Conte sui social.
"I fatti sono chiari: dopo 2 anni e mezzo di spese, disastri e fallimenti in Ucraina anziché chiedere scusa agli italiani, Meloni ha chiesto a Von der Leyen di investire cifre folli in armi e spese militari dopo aver firmato sulla nostra testa a Bruxelles vincoli e tagli sugli investimenti che ci servono davvero su sanità, energia, carovita, industria e lavoro. Potremmo trovarci a spendere oltre 30 miliardi aggiuntivi sulle armi mentre ne mettiamo 3 scarsi sul carobollette".
"Stiamo vivendo pagine davvero buie per l’Europa. I nostri governanti, dopo avere fallito con la strategia dell’escalation militare con la Russia, non hanno la dignità di ravvedersi, anzi rilanciano la propaganda bellica. La conclusione è che il blu di una bandiera di pace scolora nel verde militare. Dai 209 miliardi che noi abbiamo riportato in Italia dall'Europa per aziende, lavoro, infrastrutture, scuole e asili nido, passiamo a montagne di soldi destinati alle armi".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Much appreciated". Lo scrive Elon Musk su X commentando un post in cui si riporta la posizione della Lega e di Matteo Salvini sul ddl Spazio e Starlink. Anche il referente in Italia del patron di Tesla, Andrea Stroppa, ringrazia via social Salvini: "Grazie al vice PdC Matteo Salvini per aver preso posizione pubblicamente".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - Gianfranco Librandi, presidente del movimento politico “L’Italia c’è”, ha smentito categoricamente le recenti affermazioni giornalistiche riguardanti una presunta “coalizione di volenterosi” per il finanziamento di Forza Italia. Librandi ha dichiarato: “Sono tutte fantasie del giornalista. Smentisco assolutamente di aver parlato di una coalizione di volenterosi che dovrebbero contribuire al finanziamento del partito”.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Il vergognoso oltraggio del Museo della Shoah di Roma è l'ennesimo episodio di un sentimento antisemita che purtroppo sta riaffiorando. È gravissima l'offesa alla comunità ebraica ed è gravissima l'offesa alla centralità della persona umana e all'amicizia tra i popoli. Compito di ognuno deve essere quello di prendere decisamente le distanze da questi vergognosi atti, purtroppo sempre più frequenti in ambienti della sinistra radicale infiltrata da estremisti islamici , che offendono la memoria storica e le vittime della Shoah. Esprimo la mia più sentita solidarietà all'intera Comunità ebraica con l'auspicio che tali autentici delinquenti razzisti antisemiti siano immediatamente assicurati alla giustizia ". Lo ha dichiarato Edmondo Cirielli, Vice Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Meloni ha perso un'occasione rispetto a due mesi fa quando si diceva che sarà il ponte tra l'America di Trump e l'Europa e invece Trump parla con Macron, con Starmer e lo farà con Merz. Meloni è rimasta un po' spiazzata. Le consiglio di non essere timida in Europa perchè se pensa di sistemare i dazi un tete a tete con Trump, quello la disintegra. Meloni deve stare con l'Europa e Schlein quando le dice di non stare nel mezzo tra America e Europa è perchè nel mezzo c'è l'Oceano e si affoga". Lo dice Matteo Renzi a Diritto e Rovescio su Rete4.