Nel testo scritto dai giudici della V sezione penale della Suprema Corte si legge che "anche volendo ammettere che Giuseppe Uva disse forse di essere stato percosso (senza dire da chi, ma preannunciando intenti vendicativi) o che urlò 'assassini mi avete picchiato', fatto sta che di quelle violenze fisiche non vi fu alcun riscontro"
Non esiste alcun riscontro delle violenze fisiche denunciate dalla vittima. Con queste motivazioni la Corte di Cassazione ha motivato la propria decisione, l’8 luglio scorso, di assolvere definitivamente sei poliziotti e due carabinieri accusati di omicidio preterintenzionale e sequestro di persona in seguito alla morte di Giuseppe Uva, deceduto in ospedale a Varese nel giugno del 2008 dopo essere stato portato in caserma a seguito di un controllo. Nel testo scritto dai giudici della V sezione penale della Suprema Corte si legge che “anche volendo ammettere che Giuseppe Uva disse forse di essere stato percosso (senza dire da chi, ma preannunciando intenti vendicativi) o che urlò ‘assassini mi avete picchiato’, fatto sta che di quelle violenze fisiche non vi fu alcun riscontro”. Dopo la definitiva assoluzione, però, l’avvocato della famiglia, Fabio Ambrosetti, aveva dichiarato: “Ci rivolgeremo alla Corte europea dei diritti dell’uomo“.
I giudici di piazza Cavour sottolineano anche che “non vi fu alcuna violenza gratuita, se è vero che si rese necessario bloccare fisicamente Uva senza che poi risultassero visibili segni di sorta riconducibili ad afferramenti o immobilizzazioni”. “È un dato pacifico e innegabile”, continuano, che nessuno abbia assistito a condotte violente realizzate da uno qualsiasi degli imputati: a parte le indicazioni dell’amico “su quel che credette di interpretare dai rumori della stanza accanto, nulla è stato acquisito a riguardo. Anzi, sul corpo della vittima non fu dato neppure riscontrare segni di afferramento, strumentali a una immobilizzazione coattiva realizzata con l’uso di una forza particolare”. Di violenze fisiche “non vi fu alcun obiettivo riscontro”. Il contenimento fisico che secondo la ricostruzione accusatoria avrebbe concorso allo stato di agitazione psico-motoria e alla morte, fu “assolutamente limitato” e “strumentale” a farlo salire in auto e tenerlo fermo in caserma.
Uva e un amico erano stati fermati perché stavano facendo rumore, di notte in pieno centro, spostando le transenne da un cantiere. Dopo essere stato portato in caserma per alcune ore, fu trasferito in ospedale in psichiatria e il suo cuore si fermò la mattina successiva. Gli otto imputati erano stati assolti sia in primo grado che in Appello.