Riaprire Malagrotta? Manlio Cerroni ci riprova. Il “re della monnezza” romana, patron di quella che fino al 2013 è stata la discarica più grande d’Europa, ha scritto a Luigi Palumbo, amministratore giudiziario della E. Giovi srl – una delle società del suo impero, il consorzio Colari – minacciando di passare alle vie legali se non farà tutto il possibile per riaprire i conferimenti nella ex mega-discarica di Roma, così da riempire i 250mila metri cubi – circa 300mila tonnellate di rifiuti – che, secondo le valutazioni dei suoi tecnici, resterebbero da colmare per dare il via alla bonifica del sito. L’imprenditore 94enne è attualmente a processo per gestione abusiva di rifiuti e frode nell’ambito del presunto malfunzionamento dei due impianti tmb di Malagrotta – di proprietà di E. Giovi – e del tritovagliatore di Rocca Cencia noleggiato alla società Porcarelli. Lo scorso anno, tuttavia, il “Supremo” è stato assolto dall’accusa più grave di associazione a delinquere – alcuni reati correlati furono prescritti – ma fin qui la Prefettura di Roma ha ritenuto di non revocare l’interdittiva antimafia che dal 2017 ha portato al commissariamento giudiziario di E. Giovi.
La missiva di Cerroni prende spunto dalle parole spese da Palumbo in commissione capitolina Ambiente, dove spiegava che per effettuare il cosiddetto capping di Malagrotta – gergo tecnico per indicare la copertura e, in qualche modo, bonifica della discarica – servirebbero circa 200 milioni di euro. Questi soldi, in teoria, le società del Colari avrebbero dovuto accantonarli dalla tariffa rifiuti pagata negli anni dai cittadini romani, ma lo stesso Cerroni si è sempre sempre tirato indietro, sostenendo che quel prezzario era stato calcolato male e facendo a sua volta causa alla Regione Lazio per la stessa cifra di 200 milioni. Oggi, Cerroni rinfaccia a Palumbo di non aver “trovato una soluzione tecnica ed economica al problema, più volte rappresentato, dell’avvallamento di circa 10 ettari, per una volumetria residua di circa 250.000 metri cubi” per “connettere le sponde degli altri 4 lotti, ed essere ricolmato con la Fos (frazione organica stabilizzata, ndr) prodotta dai tmb di Roma”. “Vale la pena di ricordare – scrive Cerroni a Palumbo – come abbiamo fatto in un articolato esposto alla Corte dei Conti del Lazio, che la Fos prodotta dagli impianti tmb di Roma, che la volumetria residua avrebbe potuto ricevere e smaltire per almeno 300.000 tonnnellate, è finita in altre discariche, con un aggravio di costi per circa 24 milioni di euro cui si aggiungono i costi di realizzazione per altri 5 milioni di euro”.
La Fos di cui parla Cerroni non è altro che la parte dei rifiuti urbani lavorata nei tmb che viene smaltita normalmente in discarica. Secondo quanto stabilito dalla Regione Lazio, questi scarti nei prossimi tre anni verranno dalla discarica di Colleferro, in chiusura, che ha esattamente lo stesso problema di Malagrotta. Ma oggi che il “Supremo” minaccia di “chiedere conto nelle sedi opportune”, lo scenario potrebbe cambiare. Considerando anche che una fronda alternativa M5s-Pd in Regione – guidata dal pentastellato Marco Cacciatore e dal dem Eugenio Patané – vuole istituire il cosiddetto “ambito di Roma”, ovvero l’obbligo per la Capitale di essere totalmente autosufficiente in chiave di rifiuti. Virginia Raggi ha già indicato il sito per la nuova discarica di Roma a Monte Carnevale, una cava ad appena 500 metri da Malagrotta, e a quel punto la soluzione di tornare per un periodo all’impianto di Cerroni potrebbe essere obbligata. E in qualche modo anche “giustificata” dalla “necessità di arrivare alla bonifica della discarica”. Insomma, le grandi manovre nella Valle Galeria sono solo all’inizio.