Il presidente ha licenziato i quattro procuratori che avevano proposto pene severe per Roger Stone, ex consigliere della sua campagna coinvolto nelle indagini sul Russiagate. Un'altra testa a cadere è stata quella di Jessie Liu e presto potrebbe toccare anche ad altri funzionari
Esce pulito dal processo di impeachment e a pochi giorni dall’assoluzione il presidente degli Stati Uniti Donald Trump mette nel mirino la magistratura. Lancia così una campagna contro quelli che lui chiama bad people, accusati di complottare contro la sua rielezione e che lui considera da eliminare. “La palude va bonificata! – ha scritto su Twitter -. Vogliamo la gente cattiva fuori dal nostro governo”.
Il pretesto è il caso di Roger Stone, ex consigliere della sua campagna coinvolto nelle indagini sul Russiagate, e accusato di aver ostacolato il Congresso mentendo sotto giuramento e intimidendo alcuni testimoni. Per questo i quattro procuratori federali a cui era stato assegnato il caso avevano proposto una pena severa, da 7 a 9 anni di carcere. Sono state le prime quattro teste a cadere, sotto i colpi del tycoon, arrabbiato per il trattamento riservato al suo amico. I quattro sono stati abbandonati dal procuratore generale degli Stati Uniti (l’equivalente di un ministro della giustizia) William Barr, che li ha sconfessati chiedendo una pena più leggera.
Dopo qualche ora e a fare le spese della furia di Trump è stata Jessie Liu, che ha rivestito il ruolo di procuratore capo di Washington gestendo vari casi generati dal Russiagate, tra cui proprio quello di Roger Stone. Il presidente ha ritirato la nomina della giudice per un alto incarico al Dipartimento del Tesoro, e Liu ha deciso immediatamente di dimettersi dall’amministrazione. La prossima vittima potrebbe essere la giudice distrettuale Amy Berman Jackson che fra pochi giorni dovrà pronunciarsi proprio sulla sorte di Stone, decidendo se condannarlo e con quale pena. Il presidente americano l’ha attaccata pesantemente su Twitter, additandola come colei che trattò duramente un altro suo amico e fedele alleato, Paul Manafort, l’ex manager della campagna di Trump, anche lui coinvolto nel Russiagate. E l’ha accusata anche di non aver fatto nulla contro Hillary Clinton.
Il timore tra le mura del Dipartimento della giustizia è quello di una vera e propria epurazione e di una fuga in massa di decine di funzionari e procuratori federali. Fatto che potrebbe compromettere una serie di indagini e di processi che riguardano personaggi legati al presidente, come l’ex consigliere per la Sicurezza nazionale Michael Flynn, anche lui coinvolto nel Russiagate, e Rudolph Giuliani, il legale di fiducia del magnate.
Gli avversari di Trump attaccano affermando che mai dai tempi del Watergate si era vista un’interferenza politica nella giustizia così eclatante. “Siamo ancora una volta di fronte a una clamorosa violazione della legalità e dello stato di diritto”, ha tuonato Nancy Pelosi, la speaker della Camera, bollando l’azione del presidente sui giudici come intimidatoria e l’ennesima dimostrazione di un abuso di potere. Intanto nella bufera è finito anche il procuratore generale Barr, uno degli alleati più fedeli di Trump, che ha accettato di essere ascoltato in Congresso il mese prossimo.