Prima udienza giovedì 13 febbraio a Bologna del processo d’appello di Aemilia, nell’aula bunker ricavata all’interno del carcere della Dozza. 116 imputati hanno fatto ricorso contro le condanne del 2018 che a Reggio Emilia hanno concluso il dibattimento del rito ordinario e altri 24 contro le pesanti pene collegate al 416 bis del rito abbreviato. Complessivamente 1223 anni di carcere per gli uomini appartenenti alla cosca di ‘ndrangheta guidata da Nicolino Sarcone (già condannato in via definitiva) che ora verranno messi in discussione davanti al collegio dei giudici Alberto Pederiali, Maurizio Passarini e Giuditta Silvestrini.
Quella di giovedì 13 febbraio doveva essere una seduta tecnica, riservata all’appello e al calendario dei lavori, ma quando tutto stava per finire, verso le ore 12, l’avvocato difensore di Pasquale Brescia, condannato in primo grado a 22 anni e 9 mesi, ha chiesto al presidente Pederiali l’autorizzazione ad ottenere dal proprio assistito una procura speciale per l’eventuale formalizzazione di una istanza di ricusazione riferita ad un membro del collegio giudicante. Ovvero l’avvocato Gregorio Viscomi ha spiegato che la dottoressa Giuditta Silvestrini, giudice di questa Corte d’Appello, potrebbe difettare del requisito di imparzialità avendo già fatto parte del collegio che in appello ha giudicato colpevole di minacce lo stesso Pasquale Brescia per una lettera intimidatoria inviata nel 2016 al sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi. Nell’aprile del 2019 la sentenza di condanna a 6 mesi per quella lettera, firmata anche dal giudice Silvestrini, ribaltò l’assoluzione di primo grado e lo fece, sostiene Viscomi, prendendo a riferimento anche la condanna di Brescia nella sentenza dell’ottobre 2018 in Aemilia. Lo stesso processo che oggi in appello potrebbe portare in teoria all’assoluzione per l’imputato.
Solo nelle prossime udienze, che proseguiranno a ritmo serrato almeno fino a giugno, si capirà la consistenza e gli effetti di questa possibile ricusazione. In precedenza la discussione in aula si era incentrata sul calendario dei lavori, con i 24 imputati eccellenti del rito abbreviato collegati in videoconferenza da una decina di carceri italiane. Dietro le sbarre in aula solo i pochi di loro detenuti a Bologna: lo stesso Pasquale Brescia, Maurizio Cavedo, Gianni Floro Vito, Pierino Vetere.
Trenta parti civili sono state ammesse all’appello: Comuni, Province, la regione Emilia Romagna, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, i sindacati CGIL CISL e UIL, presenti con i segretario regionali Luigi Giove, Filippo Pieri e Giuliano Zignani, associazioni antimafia. In prima fila i pubblici ministeri della Procura Generale di Bologna che sosterranno l’accusa: Luciana Cicerchia, Lucia Musti, Valter Giovannini. All’apertura della seduta ha presenziato anche il sostituto procuratore Beatrice Ronchi che assieme all’attuale procuratore di Reggio Emilia Marco Mescolini aveva condotto il primo grado di Aemilia. La dottoressa Ronchi è per ora impegnata nel processo sugli omicidi di mafia del 1992, in Corte d’Assise a Reggio Emilia, dove inizierà la propria requisitoria finale nella seduta del 21 febbraio. Poi si sposterà alla Dozza per portare il suo contributo di competenze alla squadra dei PM della Procura Generale.
Stiamo parlando del più importante processo alla ‘ndrangheta al nord della storia italiana recente; grande in tutto, con 220 imputati iniziali e 400mila pagine di verbali scritte sino ad oggi. Ma che nonostante le dimensioni corre velocissimo verso la fine. Il rito abbreviato scelto nel 2016 da una parte degli imputati, compresi cinque dei sei capi cosca, è già arrivato a conclusione con le condanne confermate dalla Cassazione; il rito ordinario inizia oggi il suo viaggio verso le sentenze di secondo grado. Un viaggio che si annuncia altrettanto veloce, eventuali ricusazioni permettendo.