Usare la storia per scoprire patrimoni nascosti. Lo ha fatto Neil Cummins, docente della London School of Economics, che in uno studio pubblicato lo scorso ottobre e intitolato Hidden wealth è andato a fondo nell’analisi dei patrimoni delle grandi dinastie inglesi, attraverso una particolare metodologia di triangolazione e correlazione dei dati. La conclusione a cui è arrivato è che una quota di ricchezza ereditata compresa tra il 20% e il 32% sarebbe stata nascosta dai discendenti. In alcuni casi può essersi trattato di una accorta gestione del patrimonio attraverso trust esenti da imposizione e donazioni, in altri casi di evasione fiscale.

Nell’Inghilterra del 1900, l’1% più ricco deteneva il 75% della ricchezza, una percentuale che nel 1970 è calata al 20 per cento. Secondo l’autore, lo sviluppo della classe media spiega solo in parte tale contrazione, calcolata sulla ricchezza dichiarata. Nel frattempo infatti sono emersi anche incentivi a nascondere il patrimonio, come il fatto che l’aliquota massima sugli immobili negli anni ’50 era all’80 per cento.

Cummins ha dunque selezionato un gruppo di cognomi rari dell’élite vittoriana degli anni ’20, e ne ha dapprima analizzato la ricchezza dichiarata al decesso di ogni membro della famiglia rispetto alla generazione precedente, e poi calcolato una ricchezza stimata con una tassazione a livelli vittoriani, ovvero prima dell’incremento delle tasse implementato dal 1920 in poi.

Il risultato è che una quota di ricchezza compresa tra il 20% e il 32% potrebbe essere stata finora nascosta. A livello individuale la ricerca ha rivelato inoltre una considerevole presenza di questi cognomi nell’Offshore Leaks Database dell’International Consortium of Investigative Journalists, una correlazione con la residenza in aree con case più costose, analizzando i codici postali, e una maggiore probabilità delle ultime discendenze di frequentare università di élite come Oxford e Cambridge, nel periodo compreso tra il 1990 e il 2016.

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