Senza il partito dell'ex premier, Conte a Palazzo Madama può contare su 151 voti sicuri, mentre la maggioranza assoluta è a 159. Ma l'opposizione al momento non supera i 140. Così si fa strada l'ipotesi di una truppa di "nuovi responsabili". E soprattutto nel Misto e nei gruppi piccoli si fanno due conti: la riconferma, con un numero di seggi ridotto di un terzo, sarà quasi impossibile
Ancora nessuno ha capito le reali intenzioni di Italia Viva. Quello che risulta sulla carta è che al Senato, ad oggi, il partito di Matteo Renzi è determinante per tenere in piedi il governo al Senato, a dispetto di tutta la storia dell’ex leader democratico che in passato – sull’onda della retorica decisionista – da capo di partito e di governo si è sempre lamentato del “fuoco amico“, della “dittatura della minoranza“, dei “ricatti“. Anzi, lui stesso rimosse quasi di peso da una commissione due senatori contrari all’Italicum – Corradino Mineo e Vannino Chiti – perché l’iter doveva andare avanti: “Non lasciamo a nessuno il diritto di veto. Conta molto di più il voto degli italiani che il veto di qualche politico che vuole bloccare le riforme. E siccome conta di più il voto degli italiani, vi garantisco che andremo avanti a testa alta”. Ora è lui a tenere appesa la maggioranza. Con quali numeri? Se alla Camera la maggioranza non ha bisogno dei “vivaisti”, al Senato la situazione è molto più problematica per il presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
Partiamo dai voti sicuri su cui può contare il capo del governo: senza Italia Viva oggi sono 151. Ne mancano 8 per arrivare alla maggioranza assoluta che è fissata a 159. I senatori infatti sono 319, ma tre senatori a vita sono assenti da molto tempo dalle sedute per motivi diversi: il presidente emerito Giorgio Napolitano (che non partecipa per motivi di salute) e due dei nominati per meriti in campo sociale, l’architetto Renzo Piano e il fisico premio Nobel Carlo Rubbia. Quindi il totale si abbassa a 316 e la soglia della maggioranza, appunto, a 159.
La maggioranza: i sì sicuri o possibili
I sicuri della maggioranza sono i 98 del M5s, i 36 del Pd, 6 all’interno del gruppo Autonomie (i 3 altoatesini della Svp, Albert Lanièce della Union Valdôtaine, Gianclaudio Bressa che in realtà è del Pd e Pierferdinando Casini, eletto nell’uninominale nel centrosinistra) e 11 che sono iscritti al gruppo Misto: ci sono i due partiti che hanno anche esponenti dentro il governo come Liberi e Uguali e il Movimento degli Italiani all’Estero, ma anche ex M5s come Gregorio De Falco, Maurizio Buccarella ed Elena Fattori. In maggioranza sono sicuri di “essere a 158”, ma sembra complicato individuare da dove possano arrivare quei 7 voti.
Tre possono essere quelli di altri ex senatori grillini nel Misto, usciti o espulsi con strascichi più polemici rispetto ad altri: Saverio De Bonis (espulso per una condanna in Corte dei Conti e peraltro firmatario per il referendum sul taglio dei parlamentari), Manlio Ciampolillo (in rotta con i Cinquestelle perché attivista no Tap) e Luigi Di Marzio, che era tra coloro che erano in ritardo con la restituzione di parte dell’indennità. Alcuni di loro, tuttavia, non hanno motivo di votare contro il governo.
Tra chi ha votato non di rado i provvedimenti del governo Conte 2 ci sono, infine, tre senatori a vita: l’ex presidente del Consiglio Mario Monti, la scienziata Elena Cattaneo e la testimone della Shoah Liliana Segre. Fatto il conto, dunque, ecco quota 157: sempre pochi per la maggioranza assoluta.
In bilico
Esiste poi in Parlamento un’area di centrosinistra contraria alla linea dell’esecutivo sulla giustizia. Quasi tutta è in maggioranza e ha permesso al governo Conte 2 di nascere: Italia Viva. I renziani al Senato sono 17, in gran parte fuoriusciti dal Pd più qualche transfuga dal centrodestra. Poi nel Misto ci sono Emma Bonino, di +Europa, e Matteo Richetti, di Azione, il movimento di Carlo Calenda.
L’opposizione
Il conto al contrario, “a contrasto”, può essere altrettanto utile. Cioè: quanti voti ha l’opposizione all’esecutivo? Il centrodestra ha 139 senatori: i 61 di Forza Italia, i 60 della Lega, i 18 di Fratelli d’Italia. A quest’area si può iscrivere anche il parlamentare espulso dal M5s Gianluigi Paragone, “colpevole” di non aver votato la manovra. In tutto fa 140. E’ evidente che senza il contributo del polo – chiamiamolo così – “liberaldemocratico” di Renzi, Bonino e Calenda (19 voti) il centrodestra in Parlamento non ha i voti per fare niente, come d’altra parte è noto dall’inizio della legislatura e com’è stato ribadito in modo lampante nella crisi di governo dell’agosto scorso.
I responsabili (anche dentro Italia Viva)
Fin qui gli schieramenti sulla carta. Ma poi c’è la variabile “umana”. E i fattori sono tre, come minimo. Il primo, di cui parlano i giornali, è la eventuale – presunta – nascita di una “squadra di salvataggio” della maggioranza a Palazzo Madama: l’unità embrionale di questo nuovo gruppo di “Responsabili” sarebbe composta dai berlusconiani Paolo Romani, Massimo Mallegni e Antonio Saccone e il centrista dell’Udc – eletto col centrodestra – Antonio De Poli.
Il secondo fattore riguarda la tenuta dello stesso gruppo di Italia Viva che, alla resa dei conti, si troverebbe a esprimere un voto che come conseguenza potrebbe avere costruire un’autostrada verso il governo a favore di Matteo Salvini. Sempre secondo i giornali i contrari allo strappo finale all’interno dei renziani potrebbero essere anche dieci, cioè ben oltre la metà.
Il prossimo Parlamento mini: i renziani potrebbero essere meno di 15
Infine quello che pesa più di tutto: se cadesse il governo Conte 2, è quasi certo che si andrebbe a elezioni; e in caso di elezioni il prossimo Parlamento – al netto dell’esito del referendum costituzionale del 29 marzo – sarebbe notevolmente ridotto, da 945 seggi a 600. Il problema aumenta di entità in rapporto inversamente proporzionale alla forza dei partiti: è chiaro che sono i partiti piccoli a rimetterci con una Camera ridotta a 400 deputati e un Senato a 200. Tra l’altro in questo momento vige ancora il Rosatellum che ha una quota maggioritaria e una soglia di sbarramento al 3 per cento: tutti meccanismi che rendono difficile la vita a forze come +Europa, Azione e perfino la stessa Italia Viva (in alcuni sondaggi è andata poco oltre il 3).
L’ultima proiezione di YouTrend sul possibile nuovo Parlamento è data ottobre 2019 e si basa sui risultati delle Europee 2019 e su un sondaggio Quorum dell’epoca. Ne veniva, vigente ancora il Rosatellum, che Forza Italia – partito notevolmente ridimensionato rispetto alle Politiche di due anni fa – avrebbe 18 deputati (più una manciata dall’uninominale) e 6 senatori (più un’altra manciata dall’uninominale). I renziani sarebbero in tutto poco più di 15 tra Camera e Senato e difficilmente conquisterebbero altri parlamentari dall’uninominale visto che l’alleanza con il resto del centrosinistra è come minimo improbabile e che un patto con le altre forze di centro laico (+Europa, Azione) non potrebbe competere in nessun posto contro centrosinistra e centrodestra.
La situazione per i partiti piccoli – Italia Viva compresa – sarebbe ugualmente complicata se davvero si arrivasse all’approvazione di un sistema proporzionale puro, come vuole la maggioranza di governo, con il cosiddetto Tedeschellum che tra le altre cose ha una soglia di sbarramento al 5 per cento, per certi versi addirittura proibitiva per i renziani stando a tutti i sondaggi. Italia Viva, dunque, avrebbe una ventina di parlamentari. Forza Italia una quarantina. I senatori del Misto senza partito, com’è ovvio, non avrebbero più il loro seggio. Il richiamo al “senso civico” per proseguire la legislatura, insomma, per qualcuno potrebbe essere molto forte.