Il capitano Whyndam è l’eroe assoluto del giallo contemporaneo. Con Un male necessario (SEM) Abir Mukherjee è già al secondo capitolo di una possibile saga – leggere sì, ma i miracoli ancora non riusciamo a farli – e l’approccio alla spinosa e sfibrata materia della detection sembra essere delle migliori. Calcutta, India, giugno 1920. Whyndam e il fido collega, sergente Bunty Banerjee, indagano sull’omicidio in pieno giorno, in mezzo ad una strada affollata, del principe Adhir, erede al trono del regno di Sambalpore. Il fattaccio accade davanti ai loro occhi. L’ipotesi del fanatico religioso sembra quella apparentemente più probabile, ma il duo di poliziotti di sua maestà il viceré, proprio nei giorni in cui si discute della delicata istituzione della Camera dei Principi locali, intuisce che c’è dell’altro. E la soluzione si troverà indagando perfino al cospetto del maharaja di Sambalpore. Incipit largo e descrittivo del contesto ambientale e antropologico in cui si muoveranno i protagonisti, Mukherjee (inglese di origine indiane) ci risparmia il “narcisismo del commissario” che finisce con pochissimi e fondanti dettagli (un passato da segugio di Scotland Yard, le pippate clandestine di oppio) come screziature alla fitta trama del racconto generale. Racconto che si dipana attorno ad una porosa prima persona singolare, sguardo minuzioso dei particolari sociali e classisti tra indiani e inglesi, come tra indiani e indiani, e un’ironia corrosiva, dura e politica propria di Whyndam che fornisce al racconto una spassosa giovialità e una compattezza narrativa invidiabile. Il succedersi degli avvenimenti sgorga naturale, come in presa diretta indigena più che da inviato speciale dell’esotico. In certi passaggi (segnaliamo l’intera pagina 75 che gronda di sensazioni tattili e olfattive castali) Un male necessario è perfino sontuoso in questo suo smarcarsi dall’effetto scorciatoia dei dialoghi perenni ed esplicativi. Gran lavoro del traduttore Alfredo Colitto. Voto: 7 e mezzo