In primo grado erano stati assolti. Ma i giudici d’appello di Milano hanno riformato quella sentenza e condannato a un mese e dieci giorni e a una multa di 200 euro per apologia di fascismo undici esponenti di estrema destra che risposero alla “chiamata del presente” con saluti romani al cimitero Monumentale, il 23 marzo 2017, dove stavano commemorando i caduti della “rivoluzione fascista” del 1919 e la fondazione dei ‘fasci di combattimento’. Il verdetto è arrivato sulla base della legge Mancino che punisce i reati di odio e discriminazione razziale. L’iniziativa era stata promossa dall’associazione ‘combattenti del Rsi’. La VI sezione penale del Tribunale li aveva assolti spiegando che in quei gesti non c’era “pericolo concreto di ricostituzione del Partito fascista”. Nel ricorso del pm Piero Basilone, discusso dal sostituto pg Daniela Meliota, si spiega, invece, che quel rito “aumenta per la solennità del contesto” il “pericolo di attrazione e di diffusione” di idee “discriminatorie”.
Numerosi sono stati i processi portati avanti dalla Procura di Milano su casi simili, di manifestazioni fasciste con saluti romani, e la giurisprudenza di questi ultimi anni oscilla tra condanne e proscioglimenti e di recente un altro verdetto di assoluzioni è stato ribaltato in secondo grado, dove sono state emesse condanne. Nelle motivazioni della sentenza della sesta penale del Tribunale, che aveva assolto gli undici imputati, tra cui Norberto Bergna (che effettuò la ‘chiamata del presente’ per i ‘camerati’), in un passaggio si diceva anche che non si poteva attribuire “carattere discriminatorio o razzista” al “saluto commemorativo dei primi caduti della ‘rivoluzione fascista’ o del poeta Marinetti, giacché tale connotazione era del tutto assente al momento della nascita dei ‘fasci di combattimento ed estranea al pensiero di Marinetti”. Per il pm, che ha impugnato le assoluzioni, “non è nostro compito cimentarci in ricostruzioni storiche“, perché ciò che deve essere “incriminato” è “il compimento di manifestazioni univocamente usuali del Partito fascista”, un’organizzazione che aveva tra i “propri fini anche il compimento di una politica e di attività, anche violente, di carattere discriminatorio”.