Amori tormentati, letteratura, ballettti: è uno dei calciatori più romantici che abbiano calcato i campi di Serie A, Igor Shalimov, perfetto per San Valentino. Intendiamoci: niente cuori, dediche smielate o baci ai tatuaggi, anche perché il centrocampista russo di tatuaggi non ne ha. Romanticismo alla dottor Zivago o alla Anna Karenina: e infatti Shalimov, che arriva dall’Unione Sovietica sembra un personaggio di Tolstoj o di Pasternak e dei grandi classici russi è appassionato.
Aria intellettuale e tormentata: una bella testa, che in campo lo aiuta assieme alla precisione del sinistro e a un’eleganza innata nelle movenze. Centrocampista polivalente, bravissimo a inserirsi e a dettare i tempi, nello Spartak Mosca e nella nazionale sovietica si fa notare per la sua modernità e un giovane tecnico che la modernità la va predicando, Zdenek Zeman, lo chiede con insistenza al presidente del Foggia Casillo, che di Tolstoj e Dostoevskij non si intende molto, ma si fida del boemo e lo compra per quasi un miliardo e mezzo.
Si fida molto Casillo di Zeman: è l’estate del 1991 e fino ad allora tutti i russi arrivati in Italia o sbarcati in Europa pagati parecchi miliardi avevano fatto flop. La nazionale sovietica di Lobanovsky aveva fatto stropicciare gli occhi a molte società, mettendo in mostra i gioielli tra Mondiali ’86 ed Europei ’88: ma tutti, fuori da Santa Madre Russia avevano fatto flop. Zavarov pagato la cifra record di 7 miliardi di lire dalla Juve dove doveva raccogliere l’eredità di Platini era già stato sbolognato al Nancy, in Francia. Il compagno Aleinikov, preso per far ambientare Zavarov, pure non si era mostrato un fuoriclasse. Neanche Mantovani alla Samp si rivela fortunato coi sovietici: Mychajlychenko gioca poco e maluccio e viene venduto in Scozia dopo una sola stagione. Non va meglio a chi sbarca nelle squadre europee: Belanov gioca maluccio in Germania, Dasaev, in patria e in nazionale insuperabile, al Siviglia subisce troppi gol, Protasov e Litovchenko non impressionano nell’Olympiakos e nel non certo irresistibile campionato greco.
Casillo però non solo accontenta Zeman spendendo tanto, ma di russi gliene compra due: non solo Shalimov, ma pure l’attaccante Kolyvanov, per 5 miliardi di lire. L’inizio è da incubo e il timore di un nuovo flop sovietico è enorme. Shalimov è un romantico, non una macchina da guerra sovietica e i carichi di Zeman lo mettono in difficoltà: poi però sboccia, diventando un gioiello dei più preziosi di Zemanlandia. Centrocampista moderno, intelligente e duttile sfodera prestazioni bellissime segnando vari gol grazie al suo gran sinistro e alle capacità di inserimento. Bagnoli lo vuole all’Inter per sostituire Matthaus e Pellegrini sborsa 17 miliardi al Foggia: in quel momento, nell’estate 1992, Shalimov è lo straniero più pagato della Serie A. Dimostra subito di valere quei soldi: regala geometrie e ordine ai nerazzurri, segna nove gol, molti bellissimi e importanti. Si gode il momento il russo: passeggiando per Milano con la sua aria un po’ intellettuale, libro sotto il braccio, capello lungo, occhialino tondo e abbigliamento elegante.
E se il suo sinistro liftato affascina i cultori del bel calcio, effetto simile hanno i suoi modi eleganti con le donne. Ma le carezze al pallone non sortiscono effetti collaterali: le sue passioni fuori dal campo sì. Qualcosa va storto. Il russo comincia a giocar male: lento, triste, irriconoscibile. Sensibile e romantico, Shalimov, pare ricalcare proprio le orme di un personaggio da romanzo: un amore infelice, una dama che prima lo seduce e poi lo abbandona, una ballerina, si dice. E Il calcio non aspetta, è noto: già allora, quando il russo ha solo 24 anni comincia la sua parabola discendente. Prima il prestito al Duisburg, poi al Lugano, poi il rientro in Italia all’Udinese e un altra esperienza deludente. Va al Bologna, e pare tornare su buoni livelli, tanto che Ulivieri se lo porta a Napoli per risollevare gli azzurri precipitati in B. Con gli azzurri viene trovato positivo al nandrolone: si giustificherà dicendo di aver mangiato carne cruda, ma piuttosto che aspettare la fine della squalifica decide di ritirarsi, a soli 30 anni. Intanto ha sposato Oksana Robski, scrittrice russa, bella, divorziando dopo solo sei mesi e ha incominciato la carriera di allenatore ottenendo anche buoni risultati. Con chi? Con la nazionale russa. Femminile, naturalmente.