Alla fine Nicolas Maduro ha ceduto e da novembre il dollaro, la moneta del nemico numero uno del suo Paese, simbolo dell’imperialismo, ha iniziato a circolare ed essere permessa negli scambi. Il delfino di Chavez l’ha definita una “valvola di sfogo” nel pieno della crisi economica che affligge da ormai quasi sette anni il paese, dove ogni giorno bisogna fare i conti con un’inflazione galoppante, una moneta nazionale che continua a perdere valore e cibo e medicinali difficili da reperire.
Eppure non più tardi di due anni fa, nella campagna per le elezioni presidenziali del 2018, l’attuale presidente del Venezuela aveva criticato la proposta del candidato rivale, Henri Falcon, di dollarizzare il paese, definendola “anticostituzionale”. Totalmente diverso il tenore delle sue dichiarazioni a novembre: “Non lo vedo negativamente questo processo. Può servire a far recuperare al Paese le sue forze produttive. Grazie a Dio esiste (il dollaro ndr)”, assicurando che comunque il Venezuela continuerà ad avere la sua moneta (il bolivar). Così, dopo anni di restrizioni, ora nel giro di pochi mesi le transazioni in dollari sono arrivate ad essere il 53 per cento del totale, e a Maracaibo, una delle città più importanti del paese, all’86 per cento. Anche se non si sa esattamente quanti dollari girino esattamente per il Paese, secondo la società di consulenza economica e finanziaria Econalitica, si stima che possano essere 700 o 800 milioni. Come precisa l’economista Henkel Garcia, della società di consulenza Econometrica, “gran parte dei dollari che circolano sono quelli che molti venezuelani stanno risparmiando da anni, mettendoli da parte all’estero”, con conti negli Stati Uniti. Ciò spiega il successo di sistemi di pagamento elettronici, come Zelle, che permettono di trasferire con il cellulare fondi tra conti negli Usa e che in Venezuela si usano spesso per le spese quotidiane. Le banche venezuelane hanno iniziato ad adattarsi a questa nuova realtà iniziando ad offrire alcuni servizi di custodia e deposito, seppur molto rudimentali.
Secondo Asdrubal Olivero di Ecoanalitica, “Maduro sta applicando un piano di assestamento, anche se non lo ammette”. Del resto, già altre volte le autorità, senza annunciarlo pubblicamente, hanno abbandonato pratiche che erano state uno dei segni distintivi del governo Chavez, come il controllo dei prezzi e dei cambi per avere un maggior dinamismo nell’economia. Il Venezuela non è comunque il primo paese dell’America Latina a ricorrere al dollaro per frenare l’inflazione e stabilizzare la sua economia. Prima lo hanno già fatto Ecuador, Perù o Bolivia, senza dimenticare l’Argentina che all’inizio degli anni 2000 aveva equiparato il peso al dollaro.
“Le persone cercano sempre delle valute forti. In America Latina il dollaro viene percepito come una moneta forte, così come l’euro nei paesi limitrofi l’Unione europea. Maduro è ricorso a questa misura perché è disperato. Ha provato in tutti i modi a evitarla, anche a fare una criptomoneta sua (il petro, ndr), che però nessuno vuole, così come il bolivar. Adesso è saltato tutto”, spiega a ilfattoquotidiano.it Raul Caruso, docente di Economia internazionale dell’università Cattolica di Milano. Se c’è una lezione che ha dato la crisi argentina del 2001, è che “la doppia circolazione di monete può essere tollerata solo quando le oscillazioni nel cambio sono ragionevoli. Quando ci sono scossoni potenti come quelli rappresentati dall’iperinflazione venezuelana, la doppia moneta può peggiorare la situazione – continua – perché cristallizza le disuguaglianze, già fortissime a livello sociale, oltre ad aumentare di molto l’economia informale e i cambi al nero”.
In Venezuela questo processo di dollarizzazione non viene regolamentato a livello legale, ma è qualcosa che è iniziato spontaneamente tra la gente. Chi perde da questa situazione sono le persone che vengono pagate in bolivares, cioé la maggior parte della popolazione, tra cui gli impiegati statali, il cui salario vale molto meno dei prezzi di consumo. In ogni caso, secondo Caruso, il ricorso al dollaro “è un bruttissimo segnale per il Venezuela, perché dimostra che non si ha fiducia nel proprio Paese. Se vogliamo vedere un aspetto positivo è che Maduro ha capito che deve trovare un dialogo con l’opposizione. Il dollaro potrebbe essere un segnale di apertura – conclude –. Per migliorare le cose, dovrebbe costituirsi un governo di unità nazionale, che lavori in accordo con gli altri paesi e le organizzazioni internazionali, come l’Fmi”.