La chiusura sembrava inevitabile. E invece il caso del Centro Regionale di Neurogenetica di Lamezia Terme in Calabria ha un lieto fine. Non chiuderà per mancanza di fondi. O almeno è quello che ha promesso il ministro della Salute, Roberto Speranza, che in una nota fa sapere che questo “importante riferimento nazionale ed internazionale nello studio della malattia di Alzheimer, diretto dalla dottoressa Amalia Bruni, continuerà il suo importante lavoro”. Un centro di ricerche, inaugurato da Rita Levi Montalcini, che ha già dato importantissimi contributi scientifici nello studio di una malattia come l’Alzheimer, finito nel baratro della mancanza di fondi con il commissariamento della disastrata sanità calabrese.
E così, d’intesa con il commissario ad acta della Sanità calabrese, Saverio Cotticelli, e con il Commissario straordinario di Catanzaro Giuseppe Zuccatelli, il ministro “ha definito un percorso che consentirà al Centro di proseguire e consolidare le attività di ricerca nel delicato settore della neurogenetica”. Il Centro “sarà immediatamente collegato alla Azienda Ospedaliera-Universitaria Mater Domini di Catanzaro, che ne assumerà temporaneamente e funzionalmente la gestione, nelle more del perfezionamento dell’accordo, al quale da settimane si sta lavorando, con l’INRCA-IRCCS di Ancona/Cosenza. L’INRCA è una azienda sanitaria pubblica con sede anche a Cosenza che opera nell’ambito geriatrico”.
Una soluzione che permetterà, da un lato, “di riconoscere pienamente il ruolo sovraregionale del centro nell’ambito non solo della assistenza ma anche delle attività di ricerca, dall’altro, di superare lo stallo causato dalla difficoltà di finanziare annualmente le attività del Centro con il Fondo Sanitario della Calabria, Regione ancora in Piano di rientro. Il Centro, quindi, spiega il ministero, rientrerà nell’alveo delle istituzioni sanitarie che, oltre a svolgere attività assistenziale, sono anche orientate alla ricerca, certamente più congeniale alle attività della struttura. È infatti intenzione del Governo, conclude la nota, “fornire un concreto contributo per salvaguardare il patrimonio di conoscenze ed il lavoro appassionato di questa comunità scientifica, i cui risultati hanno avuto una eco internazionale facendo fare significativi passi in avanti nella conoscenza e cura dell’Alzheimer”.
Basti pensare che, come ricordava il Sole24Ore, il centro conserva 12mila cartelle cliniche, ha 4mila pazienti in carico e valuta 30 nuovi casi ogni settimane. Casi che diventano per la ricerca per la squadra di ricercatori composta da biologi, genetisti, neurologi. Il giorno dell’inaugurazione il 10 maggio del 1997 il premio Nobel per la Medicina disse ”bisogna elogiare chi ha voluto questa realizzazione, a livello internazionale, soprattutto perché nata in Calabria, dove ci sono talenti”. Uno di questi è proprio Amalia Bruni che, dopo anni di studio, ha scovato la “presenilina”, il gene più diffuso dell’Alzheimer.
L’Alzheimer è una malattia subdola, che lavora nell’ombra per 15-20 anni prima di manifestare i primi sintomi clinici. Chi ne è colpito, infatti, spesso non lo sa. Le cause della malattia sono ancora avvolte nel mistero e la ricerca prosegue senza sosta. Le statistiche sulla diffusione sono impietose. Secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), la malattia uccide nel mondo circa 47 milioni di persone. Per l’Oms, ogni anno sono 9,9 milioni i nuovi malati di Alzheimer. Solo in Italia, in base ai dati dell’Alzheimer’s disease international (Adi) – la federazione internazionale legata all’Oms che riunisce le associazioni che si occupano di Alzheimer -, la malattia colpisce più di 600mila persone, circa il 5% degli over 65. Una percentuale che, stando alle proiezioni elaborate dall’Istat per Italia Longeva, nel 2030 è destinata a triplicarsi, con oltre 2 milioni di persone colpite, in prevalenza donne.