Il giorno dopo la notizia dell’apertura di un procedimento nei confronti del pm che ha sostenuto l’accusa nel processo per l’omicidio di Marco Vannini il procuratore di Civitavecchia, Andrea Vardaro, non solo difende l’operato della procura, ma sottolinea come la Suprema corte abbia dato ragione all’impostazione del pm Alessandra D’Amore. Impostazione condivisa anche dalla Procura generale presso la Corte d’Appello di Roma, che ha proposto ricorso “contro la sentenza della Corte di Assiste d’appello “che aveva riqualificato il fatto per tutti gli imputati come omicidio colposo. Come è noto la Corte di Cassazione ha accolto l’impugnazione della Procura Generale”.
Il capo della procura ricostruisce tutte le fasi del procedimento. Subito dopo l’omicidio del 20enne, ucciso a Ladispoli il 17 maggio del 2015 a casa della fidanzata, “sono stati effettuati i rilievi necessari per l’accertamento dello stato dei luoghi“. L’intervento della procura è motivato dai “numerosi articoli di stampa, pubblicati in questi giorni, nei quali viene ipotizzata l’inadeguatezza e l’incompletezza delle indagini svolte” sull’omicidio di Vannini. Un caso, quello del procedimento attivato dal ministero della Giustizia, che ha sorpreso anche l’avvocato Celestino Gnazi, legale dei genitori di Marco Vannini,che ieri aveva dichiarato che le indagini avevano permesso di “raccogliere una montagna di elementi più che sufficienti a dimostrare la colpevolezza degli imputati. Nel caso va valutato il comportamento dei giudici. “Il pubblico ministero nel processo di primo grado ha portato avanti l’accusa di omicidio volontario per tutta la famiglia Ciontoli e non era scontato. Così come non era scontato e semplice presentare un ricorso in Appello”.
Ed eccolo nella nota del procuratore l’iter delle indagini: “Dagli atti risulta che circa 30 minuti dopo il decesso, ufficiali di polizia giudiziaria del Nucleo operativo della Compagnia dei carabinieri di Civitavecchia si sono recati presso l’abitazione della famiglia Ciontoli, ove era stato esploso il colpo di pistola che aveva colpito Marco Vannini ed hanno effettuato un capillare sopralluogo, nel corso del quale sono stati sequestrati oggetti e indumenti, nonché un bossolo esploso e due pistole. Personale specializzato del Nucleo investigativo dei carabinieri Ostia ha proceduto, quindi, al prelievo di sostanze ematiche rinvenute all’interno del immobile, poi trasmesse al Ris di Roma per le indagini di laboratorio. Subito dopo il decesso pertanto sono stati effettuati i rilevi necessari per l’accertamento dello stato dei luoghi”. Non solo: “Si è proceduto inoltre al prelievo dei residui di polvere da sparo” su Antonio, Martina e Federico Ciontoli e sui loro indumenti. E nella stessa giornata è stato emesso un decreto urgente per intercettare le conversazioni di Antonio Ciontoli, dei figli e della fidanzata del figlio (tutti presenti nell’abitazione al momento dei fatti), mentre attendevano, nel corridoio della stazione dei carabinieri di Civitavecchia il loro turno per essere sentiti dal pm. Le intercettazioni ambientali hanno contribuito in maniera determinante all’accertamento della dinamica dei fatti”.
Nel corso delle indagini “è stata disposta una consulenza medico-legale collegiale e l’acquisizione dei tabulati telefonici relativi a numerose utenze; sono state sentite numerose persone informate sui fatti” tra le quali anche due vicini di casa; e “sono stati acquisiti i file riguardanti le chiamate al 118 effettuate da componenti della famiglia Ciontoli”. Gli elementi di prova raccolti, sottolinea ancora il procuratore “hanno consentito di richiedere rinvio a giudizio di Antonio Ciontoli e dei suoi familiari per il delitto di omicidio (doloso), rinvio a giudizio che è stato successivamente disposto dal gup”. La procura ha poi impugnato la sentenza emessa dalla Corte di Assise di Roma che ha condannato per omicidio doloso il solo Antonio Ciontoli e non anche i suoi familiari.