In Italia la mobilità condivisa viaggia da sola, senza regole univoche e, troppo spesso, senza il sostegno delle politiche pubbliche: l'ultimo esempio è l’emendamento al decreto Milleproroghe che detta paletti per uno dei mezzi più utilizzati dalle piattaforme digitali. Sono 278 i comuni con almeno un servizio, che si tratti di auto, bici e veicoli elettrici. Rappresentano il 3% del totale, generalmente si tratta di grandi città
I monopattini elettrici verso nuove regole. Le proprie. Dopo diversi problemi legati al vuoto normativo e dopo mesi di sperimentazioni in alcune città, una misura contenuta nella legge di Bilancio, che equiparava i monopattini elettrici alle bici, sembrava aver dato il via a una nuova era. Non senza polemiche. Ora però, c’è chi considera un “dietrofront” quell’emendamento al decreto Milleproroghe che detta paletti per uno dei mezzi più utilizzati dalle piattaforme digitali di sharing in tutto il mondo. Per rendersene conto, è sufficiente andare in Paesi come Spagna e Francia.
Ma questa è l’ultima frontiera del percorso a ostacoli della sharing mobility in Italia. Che va bene, ma viaggia da sola, senza regole univoche e, troppo spesso, senza il sostegno delle politiche pubbliche nel rimuovere gli ostacoli che ne frenano la diffusione, soprattutto in alcune aree del Paese. Sono i Comuni che fanno ciò che ritengono opportuno con bandi, delibere e ordinanze. Anche di fronte ad atti di vandalismo e furti, zona grigia su cui non ci sono dati complessivi, ma solo quelli in possesso delle aziende e dei comuni interessati. Le aree dove i servizi funzionano meglio sono quelle in cui i cittadini sono già abituati a usare i mezzi pubblici. Ogni giorno nascono app, servizi e il settore accoglie delle novità. Da poche settimane è operativa anche in Italia la nuova joint venture ShareNow, frutto della fusione tra i due servizi di car sharing di Bmw e Daimler, ossia DriveNow e Car2go. I numeri, dunque, sono in perenne evoluzione e gli ultimi disponibili risalgono al 2018, contenuti nel rapporto dell’Osservatorio nazionale sulla sharing mobility: 278 i comuni con almeno un servizio accessibile, rappresentano il 3% del totale, ma si trovano quasi nel 60% dei casi al Nord, nel 30% al Sud e solo il 13% è al Centro. Sono generalmente grandi città. In primis Milano, eccellenza non solo italiana o europea, ma anche nel mondo. Ci sono poi realtà che, tra ostacoli e incidenti di percorso, stanno disegnando una loro strada. Torino, Bologna, ma anche Cagliari e Palermo offrono, non senza difficoltà, servizi peculiari al territorio.
LA SHARING MOBILITY IN ITALIA – “È vero che la sharing mobility è diffusa soprattutto nelle grandi città, come si evince dai dati sul car-sharing – spiega a ilfattoquotidiano.it Massimo Ciuffini, coordinatore dell’Osservatorio nazionale – ma accade un po’ in tutta Europa. Registriamo però una diffusione costante per car, bike e soprattutto scooter sharing, finora meno diffuso”. Gran parte del mercato della sharing mobility nostrana è legato al bike-sharing. Ancora bassi i numeri del carpooling, basato sull’uso condiviso di veicoli privati tra persone che devono percorrere uno stesso itinerario. Ci sono poi una serie di servizi assenti, quasi o del tutto, dal panorama italiano. Di fatto nel 2018 il numero di utenti della sharing mobility è arrivato a 5,2 milioni, un milione in più rispetto al 2017.
CARSHARING, BIKESHARING, SCOOTERSHARING – I sistemi di car-sharing sono principalmente quattro: station-based con veicoli parcheggiati in apposite stazioni; free-floating (a flusso libero) con auto dotate di GPS prelevate e depositate all’interno di un’area predefinita, senza stazioni; il peer-to-peer, con cui il proprietario noleggia il suo mezzo ad altri utenti; il car-sharing di nicchia o a rete chiusa che servono specifiche comunità (complessi residenziali, università, aziende). Nel 2018 gli iscritti ai servizi di car sharing in Italia sono stati un milione e 860mila (il 90% al free-floating). L’arrivo dei servizi di bike-sharing free-floating ha profondamente mutato il settore alla fine del 2017, con un aumento enorme di bici disponibili. I servizi sono tantissimi (circa 270), più di qualunque altro Paese Ue, anche se spesso di piccole dimensioni. Se il free-floating è per lo più confinato al Nord, i servizi station-based sono presenti anche al Sud, ma generalmente con servizi che lasciano città di medie dimensioni con un numero limitato di bici. Il 2018 è stato senza dubbio l’anno dello scooter-sharing, in particolare elettrico. Cresciuta rispetto al 2017 di oltre quattro volte, la flotta contava 2.240 motorini al 31 dicembre del 2018, con una diffusione limitata a Milano, Roma e Torino. Poco meno di 171mila gli iscritti, ma con un tasso medio di crescita del 350% negli ultimi 4 anni.
I VEICOLI ELETTRICI – Ed è proprio dallo scooter-sharing che è arrivata nuova linfa sul fronte della sostenibilità. In tutti i settori i veicoli elettrici sono il 43% di quelli a disposizione dei clienti (nel 2017 erano il 27%). Differenza dovuta proprio al boom dello scooter-sharing, che ha sestuplicato la flotta elettrica in un anno: siamo al 90% sul totale. “Se nel mercato normale l’Italia in Europa è fanalino di coda – spiega Ciuffini – in quello dei veicoli condivisi siamo più in linea con gli altri Paesi”. E il car-sharing? In Italia nel 2018 si contavano 25 operatori, ma la situazione è in continua evoluzione. I principali sono Enjoy con 2.450 veicoli (tutti a benzina), car2go (2.156 al 2018, tutti a benzina) – il cui servizio si è però fuso con quello di DriveNow, che già contava su alcune auto elettriche – e Share’ngo con circa 1.500 veicoli, tutti elettrici. Totalmente elettriche anche altre flotte, che possono però contare su molti meno veicoli. Per arrivare al 2024 con il car-sharing solo elettrico, la giunta di Milano ha approvato una delibera che alzerà il canone di concessione dal 2022 per ogni veicolo non elettrico. Per quanto riguarda il bike-sharing, a Roma Uber ha lanciato Jump, servizio di free floating elettrico a pedalata assistita con 700 bici iniziali, cresciute poi fino a 2.800. Per contrastare possibili atti di vandalismo sono previste multe per chi parcheggia dove non si può, un sistema Gps per il monitoraggio dei mezzi e un altro di blocco. “I numeri sul noleggio – spiega Ciuffini – ci dicono che Roma sta andando meglio di qualunque altra città al mondo. Poche settimane dopo il lancio di Jump sono arrivate anche le bici Greta della Helbiz, che oggi sono 500. A Bologna c’è Mobike, a Milano ci sono più operatori con un numero di biciclette pari a quelli di Parigi, Londra e New York”.
LA MICROMOBILITÀ E LE NUOVE FRONTIERE – Solo a giugno scorso, invece, è stato firmato il decreto ministeriale che ha dato il via alla sperimentazione in Italia della ‘micromobilità elettrica’, ovvero di hoverboard, segway, monopattini elettrici e monowheel. Nessuna città prima poteva avere un servizio del genere. Il Comune di Milano ha pubblicato tre bandi per i gestori di flotte di microveicoli. La sperimentazione è partita a dicembre con tre società, ciascuna con una flotta di 750 veicoli per un totale di 2.250 mezzi. A gennaio scorso il servizio è stato sospeso dal Tar dopo il ricorso da parte di uno degli operatori esclusi dalla selezione, ma poi il ricorso è stato rigettato dai giudici amministrativi. Nel frattempo, il tribunale ha concesso la ripresa delle attività ai gestori selezionati dal Comune. A Torino, dopo le polemiche per una serie di multe salate, dal 13 novembre è partita la sperimentazione dei monopattini elettrici e degli altri mezzi della micromobilità. Sempre da Torino, da metà dicembre e per tutto il 2020, Telepass Pay permette di usufruite gratuitamente, per la prima mezz’ora di ogni corsa, dei servizi di mobilità elettrica offerti in partnership con operatori collegati alla propria piattaforma. Sono diverse, ad oggi, le città dove era partita la sperimentazione e dove oggi regna l’incertezza.
L’EMENDAMENTO AL MILLEPROROGHE – Perché, stando all’emendamento al Milleproroghe (l’ok della Camera potrebbe arrivare la prossima settimana) il monopattino non potrà essere usato sotto i 14 anni e comunque, gli utenti, dovranno portare il casco fino ai 18. Verranno considerati velocipedi i monopattini a propulsione prevalentemente elettrica con “motore elettrico di potenza nominale continua non superiore a 0,50 Kw”. Se non si rispettano queste caratteristiche, si rischia una multa da 100 a 400 euro e la confisca del mezzo. I monopattini non potranno superare i 25 chilometri orari quando circolano sulla carreggiata e i 6 sulle aree pedonali.
I SERVIZI IN CRESCITA – Esistono, poi, servizi ancora poco diffusi ma con numeri in crescita. Siamo indietro sul carpooling, anche se gli iscritti a quello aziendale sono cresciuti del 75% all’anno dal 2015, arrivando a 277mila a fine 2018 (l’85% è iscritto al servizio Jojob). Poi ci sono i settori di Taxi e Noleggio con conducente. Chi possiede una licenza di taxi può offrire un servizio di piazza anche attraverso una piattaforma digitale di E-Hail, sempre nella cornice regolamentare preesistente (orari, tariffe etc.). Gli operatori di Ncc possono utilizzare piattaforme di Ridehailing. Sono 120 le città dove operano una o più piattaforme contemporaneamente. Ancora assenti i servizi di bus flessibili (Microtransit o DRT) che adattano il tracciato in base alle richieste inserite dagli utenti attraverso una piattaforma digitale.
GLI OSTACOLI – In Italia sono diversi, tuttora, gli ostacoli a una piena diffusione della sharing mobility. “Intanto l’abitudine a utilizzare i propri mezzi – spiega il coordinatore dell’Osservatorio nazionale – e la poca incisività delle politiche pubbliche che avrebbero dovuto scoraggiare questa abitudine”. Un altro ostacolo è legato ai disservizi del trasporto pubblico. “Se le persone vengono incentivate e si abituano a utilizzare i mezzi pubblici, invece, saranno più predisposte a condividere anche auto, scooter o bici” sottolinea Ciuffini. E poi non c’è una normativa nazionale sulla sharing mobility. Gli stessi Pums (Piani urbani di Mobilità), documento che ha lo scopo di orientare le politiche di mobilità cittadine per 10 anni, sono solo un atto di indirizzo. Non sono previste sanzioni se non si raggiungono gli obiettivi. E, comunque, stando ai dati dell’Osservatorio nazionale Pums, sono appena 155 i Comuni dove è stato avviato il percorso di redazione di un piano.
ENJOY: “ECCO COSA MANCA” – Ilfattoquotidiano.it ha chiesto a Enjoy quali sono gli ostacoli incontrati e le priorità d’intervento. “I Comuni devono disciplinare gli accessi nei centri storici, dotare le città di infrastrutture dedicate (in primis i parcheggi dedicati nei point of interest), permettere l’introduzione di formule innovative di assicurazione sul cliente e diffondere la cultura della sicurezza a bordo supportando gli operatori che investono in tal senso”. E ancora: “La regolamentazione delle ztl è spesso lasciata alle decisioni locali”.
LE ABITUDINI DEGLI ITALIANI – Ma quanto la sharing mobility sta cambiando le abitudini degli italiani? “Riceviamo richieste di utilizzo della Fiat 500 in occasione di matrimoni: perché è su un’auto Enjoy che i futuri marito e moglie hanno condiviso le loro prime uscite insieme”. Eppure, con una media di circa 65 auto ogni 100 abitanti, l’Italia è ancora uno dei Paesi europei con il più alto tasso di motorizzazione. “Se guardiamo solo questo indicatore – spiega Ciuffini – il rapporto che gli italiani hanno con la propria auto non è stato alterato”. Eppure in alcune città si iniziano a vedere segnali di cambiamento. Si ritarda, ad esempio, l’acquisto di seconda e terza auto che, in alcuni casi, si vende. “E c’è chi acquista una vettura, ma la tiene ferma in un garage o una rimessa per utilizzarla solo per emergenze” conclude il coordinatore dell’Osservatorio, secondo cui “questi cambiamenti sono rilevati da studi settoriali e su piccoli campioni, ma rappresentano comunque dei segnali”.