Armi da fuoco detenute illegalmente e reperti archeologici sono stati ritrovati a casa di Marco Jacobini, ex presidente della Banca Popolare di Bari, durante la perquisizione nel giorno in cui è finito ai domiciliari nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione dell’istituto guidato da decenni dalla sua famiglia fino al commissariamento, il 13 dicembre 2019, con un buco di circa 2 miliardi di euro. Lo si è appreso nel corso dell’udienza davanti al Tribunale del Riesame per la revoca della misura cautelare richiesta dai suoi legali.
La procura ha infatti presentato i verbali dei sequestri e un’informativa della Guardia di finanza con il contenuto di telefoni e computer sequestrati agli indagati, quindi sms, mail e documenti, oltre ai verbali di sommarie informazioni testimoniali di alcuni dipendenti della banca ascoltati dagli inquirenti. L’udienza è quindi stata rinviata e ora i difensori degli indagati avranno due giorni di tempo per visionare la documentazione.
Marco Jacobini, suo figlio Gianluca, ex co-direttore della banca, ed Elia Circelli, responsabile bilancio dell’istituto di credito, sono tutti ai domiciliari rispondono a vario titolo di falso in bilancio, falso in prospetto e ostacolo alla vigilanza. Una misura interdittiva dello svolgimento delle funzioni di manager nel settore per un anno ha invece colpito l’ex ad Vincenzo De Bustis Figarola, per il quale la procura aveva chiesto l’arresto.
Durante l’udienza, davanti al Palazzo di Giustizia, si è tenuta la manifestazione di un gruppo di azionisti e risparmiatori della Banca Popolare di Bari riunitosi in un Comitato indipendente azionisti. “Siamo qui – dicono – per ringraziare e sostenere l’operato del dottor Roberto Rossi (il procuratore aggiunto che coordina l’inchiesta, ndr) nella sua azione di accurata indagine a carico della famiglia Jacobini, perché quanto commesso dai responsabili della banca emerga nella sua totalità. Vogliamo giustizia”.
Gli azionisti che si ritengono truffati annunciano inoltre una manifestazione di protesta il 28 febbraio alle 10 in corso Cavour, dove c’è la sede della banca, “per manifestare la nostra rabbia e determinazione e far sapere a livello nazionale che non siamo per la trasformazione in Spa, laddove i nostri amministratori nazionali, il governo, non ci garantiscono formalmente una tutela”.