Sul decreto Milleproroghe, come previsto, il governo Conte 2 chiederà la fiducia: il voto, annunciato dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, è stato fissato per mercoledì 19 febbraio a partire dalle 10.10.
In coda, ovvero subito dopo il voto di fiducia, si riapre la questione del lodo Annibali: cioè la sospensione per un anno dell’efficacia della legge Bonafede sulla prescrizione che, grazie a un asse tra i renziani e Forza Italia, torna in Aula come ordine del giorno al decreto Milleproroghe, e sarà dunque posto ai voti dopo la fiducia e prima del voto finale sul decreto. A presentarlo sono stati sia i deputati di Italia Viva che l’azzurro Enrico Costa. L’apposizione della fiducia esclude il voto sugli emendamenti ma non sugli ordini del giorno.
L’ordine del giorno a prima firma Costa ricorda come la legge Bonafede fosse stata approvata “all’interno della cosiddetta ‘legge anticorruzione’, prevedendo un diverso termine di entrata in vigore (1° gennaio 2020) con il tacito accordo di realizzare (entro tale termine) un intervento riformatore del codice di procedura penale volto alla drastica riduzione della durata dei processi”. Ora tale intervento, osserva il deputato di Forza Italia, non c’è stato; di qui l’impegno al governo “ad adottare ogni opportuna iniziativa, anche di tipo normativo, volta ad un differimento dei termini di entrata in vigore della riforma in materia di prescrizione introdotta dalla legge n. 3 del 2019, quantomeno fino al 30 giugno 2021”.
L’ordine del giorno di Lucia Annibali e degli altri deputati di Iv, in premessa ricorda la riforma Orlando del 2017 che già allungava i termini della prescrizione con “lo scopo di trovare un punto di equilibrio tra le esigenze di repressione dei reati e di tutela delle vittime e l’imprescindibile tutela del diritto dell’imputato ad un processo di ragionevole durata”; ma quella riforma è stata cancellata dalla legge Bonafede, “una riforma che introduce un penale perpetuo che confligge con i basilari principi affermati dalla nostra Costituzione”. Di qui l’impegno al governo “a sospendere l’efficacia della riforma della prescrizione introdotta dalla legge n. 3 del 2019 fino al 1° gennaio 2021, al fine di utilizzare tale periodo per portare a compimento la necessaria e propedeutica riforma del processo penale”.
Intanto oggi c’è stata la protesta del centrodestra che ha stigmatizzato i ritardi sul Milleproroghe e sulla scelta di blindare il testo con la fiducia. Lavori che erano stati interrotti già nella giornata di ieri, con il presidente M5s della commissione Affari costituzionali della Camera Giuseppe Brescia, che in serata aveva chiesto un ulteriore rinvio alla mattinata di oggi.
Il centrodestra ieri sera ha abbandonato i lavori in commissione Bilancio: “Ancora una volta”, si legge in una nota dei capigruppo Andrea Mandelli (Fi), Ylenja Lucaselli (Fdi), Giuseppe Ercole Bellachiona (Lega), “siamo costretti a stigmatizzare l’atteggiamento prepotente della maggioranza che ieri sera ci ha indotto ad abbandonare i lavori in commissione. La loro litigiosità e anche una certa impreparazione hanno portato alla presentazione di un nuovo pacchetto di emendamenti al Milleproroghe in fretta e furia, a un mese di distanza dalla scadenza dei termini fissata per il 18 gennaio, dopo i numerosi rinvii che hanno caratterizzato l’esame del provvedimento. Non solo, perché ci è stato anche chiesto di effettuare delle ‘votazioni lampo’, così che il testo potesse andare oggi in Aula. E’ un comportamento inaccettabile che critichiamo con forza perché lesivo dei diritti delle opposizioni e dei singoli parlamentari che non possono essere ridotti a meri esecutori dei desiderata di una maggioranza divisa su tutto e che fa procedere i lavori parlamentari a singhiozzo”.
Il voto a Montecitorio, al netto del peso specifico del provvedimento, sarà interessante anche per capire gli equilibri dell’attuale maggioranza, alle prese con le minacce di Italia Viva e le conseguenti fibrillazioni interne. Alla Camera l’esecutivo non ha alcun problema di numeri, ma bisognerà comunque vedere non solo chi voterà la fiducia ma anche chi, tra le forze di opposizione, sarà assente.
Il decreto Milleproroghe è diventato un caso da statistica nella storia parlamentare italiana: durante il suo esame in commissione Bilancio e Affari costituzionali è infatti lievitato dagli iniziali 166 commi ai 434 finali. Il testo del decreto licenziato dal Consiglio dei ministri aveva 43 articoli, a loro volta declinati in complessivi 166 commi. Negli articoli iniziali sono stati inseriti – a suon di emendamenti – nuovi 151 commi. Ma le Commissioni non si sono accontentate nel raddoppiare il peso dei articoli iniziali. Ne hanno aggiunti, infatti, altri 38, a loro volta articolati in 117 commi. Il tutto senza computare le lettere aggiuntive ai singoli commi portando dunque i 166 commi alla cifra “monstre” di 434. La riforma della contabilità pubblica del 2017 che ha trasformato la legge di Stabilità nella Legge di Bilancio, ha rafforzato il divieto – già vigente – di inserire norme localistiche o microsettoriali. Quest’anno il Milleproroghe non conteneva solo semplici proroghe ma diversi articoli con contenuti normativi o di spesa, cosa che ha aperto la strada all’ammissione di emendamenti di questo tipo, compresi quelli a carattere localistico o microsettoriale, che hanno predominato tra i mille emendamenti presentati. Molti dei quali approvati con voto bipartisan.