Era uscito dal carcere appena quattro anni fa. In questi giorni, a trentanni dall’omicidio dell’agente Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio, la Procura generale aveva chiesto il suo arresto, respinto dal gip. Nel frattempo era tornato a mafiare, rinnovando le estorsioni, parlando con la politica e tentando di riannodare i contatti con i boss tuttora latitanti: Matteo Messina Denaro e Giovanni Motisi, detto ‘u pacchiuni’. E anche con vecchi nomi del gotha di Cosa Nostra, dai Madonia ai Fidanzati. Così Gaetano Scotto – nome che riporta agli anni sanguinari di Stragi ed omicidi – a 68 anni aveva ripreso il controllo del borgata marinara dell’Arenella, anche garante mafioso della regolarità dei pagamenti del pesce. Ma con “manifestazioni di stima e di rispetto”. Tanto da essere ossequiato anche alla festa di Sant’Antonio da Padova del 13 giugno 2016, quando a cinque mesi dalla scarcerazione lo abbordarono sul peschereccio in cui viaggiava la cosiddetta ‘vara del Santo’, nonostante la presenza fosse riservata al sacerdote e alla banda musicale, come hanno documentato le indagini della Dda di Palermo (aggiunto Salvatore De Luca, sostituti Amelia Luise e Laura Siani) nell’inchiesta che ha portato a 8 arresti tra cui il fratello della vedova di Vito Schifani, Rosaria Costa, moglie del poliziotto che faceva parte della scorta di Giovanni Falcone e che morì nell’attentato di Capaci.
Martedì mattina alla vista degli agenti ha accennato un sorriso amaro, poi senza replicare è stato trasferito nel quartier generale di San Lorenzo. “Si muoveva come un despota che dice di ritenersi nel giusto”, dice il colonnello Antonio Amoroso, capocentro palermitano della Dia, che indaga anche sull’omicidio Agostino per cui la Procura generale ha disposto l’avviso di conclusione indagini nei confronti di Scotto, l’allora boss di Resuttana Nino Madonia e un favoreggiatore. “Ma continuiamo a lavorare”, dice uno degli investigatori. Il suo nome era finito anche tra le dichiarazioni di Enzo Scarantino e per questo fu prima condannato nel Borsellino bis, poi dopo le ritrattazioni del falso pentito venne riconosciuto come parte civile nel Borsellino quater. Ed era tornato più guardingo che mai. “Lo abbiamo intercettato con quello che potremmo definire un metodo itinerante”, racconta Stefano Maniscalco, responsabile operazioni della Dia. E nel suo reticolato c’erano un bar, un centro scommesse e una pescheria. Anche se durante gli incontri più delicati venivano trattenuti i cellulari all’ingresso.
A partire dai link politici. Come quelli con Franco Mineo, ex deputato regionale di Forza Italia poi transitato a Grande Sud. Per anni è stato sotto accusa per intestazione fittizia e peculato, fino in prescrizione in Cassazione, poi condannato a otto mesi per corruzione elettorale. Finì pure in galera e nel maggio 2015 venne scarcerato. Adesso è nello staff dell’assessore regionale Edy Bandiera. “È venuto mentre ero latitante al nord Italia”, diceva Scotto intercettato il 15 aprile 2018, riferendosi a Mineo. E gli investigatori lo hanno ascoltato mentre ripercorreva i favori ricevuti dall’ex deputato in cambio del sostegno elettorale. Come alcune collaborazioni per la nipote del boss alla Fiera del Mediterraneo. Nel maggio 2017 i due sono stati intercettati, con il politico in bicicletta all’epoca impegnato per la campagna elettorale del figlio Andrea, poi eletto con Forza Italia e tuttora consigliere comunale a Palermo. Alla fine dopo decine di tentativi, un fedelissimo del boss trovò un piccolo lavoretto, ma non è chiaro il supporto concesso dall’ex deputato Mineo.
Il boss invece cercava di ricollegarsi con dei suoi riferimenti statunitensi. Primo fra tutti il suo ex socio Leonardo Lo Verde, “noto esponente della mafia italo americana, tratto in arresto dalla Dea per traffico di droga”. Il suo nome spuntò fuori anche dalle indagini del giudice Giovanni Falcone. E alcuni anni fa emerse nel blitz Paesan Blues. “Te lo ricordi quel malandrino vero, quello il calabrese, quello con la santina, abbiamo il rito, la cerimonia”, diceva il boss all’italo americano. Ma anche questo collegamento è rimasto sospeso. Dopo la scarcerazione voleva incontrarlo anche Stefano Fidanzati, boss in ascesa comparso negli anni Settanta tra le indagini dell’Fbi, fratello del capomafia Gaetano, morto alcuni anni fa. “Non facciamo che t’inchiummi (ti ubriachi, ndr) e fai lo scimunito”, diceva uno dei sodali a Scotto. Per nominarlo utilizzava un alias: Richard Gere. “Non ne faccio nomi al telefono, chi vuole capire capisce”, diceva.
“Mi hanno chiesto di fare il capomandamento, ma sono pazzi! Io devo ringraziare il Signore di essere uscito.. non se ne parla proprio”, diceva intercettato. Ma nel frattempo tentava di riallacciare i contatti con i capimafia degli altri quartieri. Tanto da far balzare sulla sedia i pm della Dda di Palermo. Come quanto cercò di contattare “u Pacchiuni”, alias di Giovanni Motisi, boss del quartiere Pagliarelli, ricercato dal 1998. Tuttora nel mirino dell’Europol e della Dda di Palermo, nonostante per molti sia morto da tempo. In una conversazione del luglio 2017 Scotto “raccontava di aver inviato il nipote del Pacchiuni il quale, nella circostanza, avrebbe rifiutato qualsiasi forma di dialogo, determinando un’evidente irritazione dello stesso”, segnala il gip. Un mese prima invece era saltato fuori il nome del latitante più chiacchierato, Matteo Messina Denaro. “Quando sarà lo puoi fare venire perché mi manda sempre i saluti di Alessio, di Messina Denaro, questa che non c’è più… questo che è latitante”, diceva Scotto al nipote, riferendosi a un’interlocutore rimasto non identificato. Lasciando l’ultima traccia del ricercato di Castelvetrano.