Il progetto è stato analizzato nel corso dell'International University Congress 2020, tenutosi nella capitale cubana. Puntare su veicoli a batteria consentirebbe sia di ridurre la dipendenza dai carburanti tradizionali che di ringiovanire il parco circolante. Il problema è che l'85% dell'energia elettrica viene prodotta proprio da combustibili fossili
Da una delle nazioni col più obsoleto parco auto circolante al mondo ad apripista della mobilità elettrica di massa: è il nuovo sogno di Cuba, che aspira a una minore dipendenza energetica dai combustibili fossili – per lo più di importazione e che arrivano nel paese in quantitativi limitati, prevalentemente dal Venezuela – e a un totale rinnovo dei veicoli privati e pubblici. Chi ha avuto la fortuna di visitare il paese, sa che circolare per le strade cubane è come fare un salto indietro nel tempo: molte delle auto sono di produzione americana, risalenti agli anni cinquanta e sessanta. Il che rende Cuba una sorta di museo a cielo aperto delle quattro ruote, dove sfrecciano Cadillac e Chevy risalenti al periodo pre-embargo. La flotta automobilistica, in generale, ha un’età media di 35 anni, col 77% dei veicoli che hanno più di 20 anni di servizio alle spalle.
Mezzi di indubbio fascino ma decisamente poco sicuri, molto inquinanti e, ovviamente, tutt’altro che efficienti. Da qui l’idea di sposare la causa dell’elettromobilità, la stessa che consentirebbe a Cuba di fare a meno di tonnellate e tonnellate l’anno di carburanti e rinnoverebbe il parco circolante con mezzi più avanzati. Il progetto è stato analizzato nel corso dell’International University Congress 2020 all’Avana, dove le università nazionali di Cienfuegos e il Politecnico José Antonio Echeverría, hanno presentato un’analisi sulla possibile rivoluzione elettrica.
Le auto a batteria lenirebbero la domanda interna di petrolio. Peraltro, a Cuba esiste già la società statale Aguas dell’Avana che adopera una flotta di 22 automobili elettriche, con le quali ottiene un notevole risparmio sui costi di gestione. Con l’importazione di auto a batteria, quindi, si otterrebbero risparmi di carburante e la qualità del trasporto pubblico migliorerebbe. Anche se rimane un grosso punto interrogativo, ovvero la fonte da cui ricavare energia elettrica: a oggi circa l’85% dell’elettricità prodotta a Cuba ha origine da combustibili fossili. Perciò, la rivoluzione elettrica avrebbe realmente senso se l’energia derivasse da fonti rinnovabili.
Lo studio presentato al University Congress 2020 arriva in un momento particolarmente critico: con le nuove sanzioni e la recessione economica, Cuba sta affrontando una seria crisi nell’approvvigionamento del carburante, forse la più grave della storia recente del Paese. Tanto che circolare con veicoli endotermici è diventato proibitivo per una grande fetta della popolazione. A migliorare un po’ la mobilità pensano gli scooter elettrici, già molto diffusi (se ne contano circa 200 mila) e importati dalla Cina: sono diventati essenziali per resistere alla carenza di carburanti fossili. Basti pensare che, su sollecitazione del Governo, i proprietari dei “motorinas” sono impegnati in un servizio a metà strada tra il taxi e il ride sharing, erogato su base volontaria. Anche se questi veicoli a due ruote diventano limitanti per gli spostamenti fuori città (possono viaggiare a una velocità massima di 50 Km/h).
Per la nazione, inoltre, quello all’elettrico sarebbe un ritorno alle origini: nel 1899, infatti, la Havana Electric Railway Company, società con sede nel New Jersey (USA), acquisì il diritto di installare un tram elettrico nella capitale cubana, che entrò in servizio nel 1901, in concomitanza con la costruzione di una centrale elettrica. Sulle strade in quegli anni operarono 533 tram, 10 locomotive elettriche e 10 autovetture di servizio automobilistico oltre a 73 vagoni merci per il trasporto di materiali da costruzione e carbone. Le 30 linee della tramvia furono dismesse circa 70 anni fa, quando i veicoli a motore, più veloci e più capienti, conquistarono il mercato.