Ho bloccato 3000 numeri di telefono di call center, ma i numeri dei call center sono come gli esami: non finiscono mai! Ieri il mio smartphone mi ha anche inviato notifica di una app che ti annuncia se la chiamata che stai ricevendo è spam oppure no. Su Outlook, le email di spam sono state quasi tutte messe sotto controllo, ma sembra che le telefonate di spam non lo siano ancora.
Credo che se il governo intervenisse con misure semplici ma serie per bloccare i call center o almeno impedire loro di fare spam a tutta forza, senza perciò impedire di dare una utile informazione commerciale, tutti starebbero meglio: non solo i cittadini, ma, come chiarirò fra un attimo, anche chi lavora nei call center.
La tutela della privacy dovrebbe essere davvero operativa. Il diritto a non essere importunati dovrebbe essere garantito, così come il diritto a cancellarsi definitivamente dagli elenchi telefonici dei call center. I call center dovrebbero chiedere ogni anno e direttamente agli utenti se autorizzano l’invio di pubblicità. E se, come spesso accade, un cliente l’ha fornita a un certo punto inconsapevolmente o per errore, deve poter essere in grado di ritirarla, ma in modo vero e veloce, non finto come accade attualmente quando si fa opposizione sul registro apposito. Il registro pubblico delle opposizioni non funziona. Va riformato, va cambiato, ma subito!
Stamattina, annunciata da una notifica “possibile spam”, mi arriva l’ennesima telefonata dalla fantomatica “sede dell’energia elettrica locale” o qualcosa del genere. Già una frase del genere mi suona immediatamente come una truffa e fa scattare dentro di me un vaffa incontrollabile. La signora, quasi meravigliata, mi dice: “Ci sono modi e modi…”. “Esattamente – rispondo – ci sono modi e modi: se vi ho chiesto in mille modi di lasciarmi in pace e voi ignorando la mia richiesta, ignorando la mia opposizione alle vostre telefonate, continuate a chiamarmi diverse volte al giorno, così come voi vi comportate da maleducati con me, anche io, nel mio piccolo, faccio lo stesso con voi”.
Basta accennare all’argomento con gli amici e si scopre che ognuno ha mille aneddoti da raccontare. Spesso a chiamare sono cittadini stranieri che non sanno parlare in italiano, ma se uno li manda a quel paese rispondono con forbitissime espressioni da trivio, quelle tipiche italiane da cui ti rendi conto che sono da tanto tempo nel Belpaese.
Finita la rabbia, però, cominci a farti qualche domanda. A cosa e a chi servono questi call center? Se tutti i miei amici e conoscenti li mandano a quel paese, questi perché continuano a chiamare? La probabilità che qualcuno compri qualcosa, ad occhio e croce, è così bassa che dovrebbe presto non essere più conveniente pagare dei lavoratori per fare chiamate spam tramite i call center a scopo di marketing. Credo che il ragionamento non faccia una piega e la domanda è più che lecita.
Basta chiedere in giro a qualche giovane per trovare la risposta alla mia domanda: i ragazzi che lavorano ai call center sono pagati con somme davvero infime. La paga tocca spesso i 2-300 euro al mese. Mi dicono anche che è prassi comune, soprattutto in Campania e nel Mezzogiorno, quando i datori di lavoro offrono una busta paga da 8-900 euro, chiedere 6-700 euro indietro. Il netto è sempre fisso ai 2-300 euro.
E allora nasce spontanea la domanda che facevo in un precedente editoriale: i giovani hanno bisogno di un reddito di cittadinanza oppure di un salario minimo? Il reddito di cittadinanza, dicevano alcuni leader grillini, interromperà queste pratiche assurde contro i giovani. È un’illusione. Anzi, il reddito di cittadinanza fa sì che tutti siano ancora più disponibili ad accettare senza fiatare le condizioni di working poverty imposte dalle imprese del settore.
Ancora di più, i giovani sono disposti a lavorare per un salario da fame. E non ci si deve meravigliare che, come dicono tutte le pagine dei giornali, i giovani prendano solo il 10% dei mutui erogati dalle banche. Infatti, solo una percentuale infima ha un lavoro a tempo indeterminato, per lo più quando lavora nel settore pubblico.
No, la soluzione non è nel reddito di cittadinanza, ma nella lotta sindacale. La responsabilità non è solo della politica, che potrebbe solo rafforzare i controlli sulle imprese. La responsabilità è dei giovani stessi che non si rivolgono più al sindacato. Ma dove sono finiti tutti i sindacati?
Ci sono diversi studi che dimostrano il bassissimo tasso di sindacalizzazione dei giovani. È anche una conseguenza della vulgata neoliberista dilagante che anche alcuni partiti del centro-sinistra hanno spesso seguito, secondo la quale i sindacati sono sporchi e cattivi. È un modo comune di pensare e di dire che i sindacati sono venduti, non fanno gli interessi dei lavoratori e così via. In realtà, questo è un modo per spingere i giovani a restare soli di fronte al datore di lavoro e, se sono soli, i giovani sono infinitamente più deboli. Senza sindacati, il datore impone ciò che vuole agitando quello che il grande economista Nicholas Kaldor chiamava il bastone del licenziamento: o mangi questa minestra o ti butti dalla finestra.
Non c’è altra soluzione per i giovani che riscoprire il sindacato, i corpi intermedi. Solo così i giovani potranno sottrarsi al ricatto del padrone e anche i cittadini riceveranno meno telefonate dai call center. Che i padroni dei call center paghino loro un reddito di cittadinanza, per così dire, e allora vedrete che chiameranno solo se hanno qualcosa davvero di utile e di conveniente da dire, altrimenti ci lasceranno finalmente in pace.