Il minimo che si possa scrivere è che rende davvero perplessi l’esternazione della Segretaria generale della Farnesina, Elisabetta Belloni, la quale ha in sostanza sostenuto che l’Egitto può diventare pericoloso se ci si va a fare “ricerche invasive”. La signora Belloni si riferiva ovviamente al caso del nostro connazionale Giulio Regeni che nel Paese, prima di venire sequestrato, torturato e ucciso da individui appartenenti ai servizi di sicurezza o alle forze dell’ordine, stava appunto conducendo ricerche sulla sindacalizzazione dei venditori ambulanti.
Se questo è il livello e l’atteggiamento delle persone preposte alle massime cariche della nostra diplomazia non ci si possiamo certamente stupire più di tanto se, come aggiunge la stessa Belloni, non fanno passi avanti le indagini sull’orrendo assassinio di Stato.
Un atteggiamento eccessivamente remissivo nei confronti dell’Egitto, pur di fronte a un regime che si rende colpevole di violazioni massicce e sistematiche dei diritti umani, non può portare ad alcun buon risultato, su nessun fronte. Da ultimo un tribunale del Cairo ha deciso di negare la scarcerazione a Patrick George Zaki, uno dei 55mila e più giovani egiziani oggi reclusi nelle patrie galere per effetto della legislazione mirata a stroncare ogni opposizione sociale e politica.
Ma Al Sisi si comporta così perché sa bene che italiani ed europei sono disposti a ingoiare qualsiasi rospo, pur di non venir esclusi dai benefici di carattere economico che comporta per talune industrie, specie di armamenti, la collaborazione col suo regime.
Analogo atteggiamento viene del resto tenuto di fronte ad altri regimi autoritari, dalla Turchia di Erdogan, che continua a massacrare i kurdi e a fornire assistenza di ogni tipo ad organizzazioni terroristiche di fondamentalisti islamici, all’Arabia Saudita di “Non aprite quella porta” Bin Salman, che sta compiendo un vero e proprio genocidio nello Yemen e massacra gli oppositori politici all’interno del suo Paese.
Al Sisi, Erdogan e Bin Salman beneficiano di un occhio di riguardo da parte del nostro governo e di altri governi europei. Un atteggiamento benevolo che si rivela ad esempio anche nelle forniture belliche. Ricorda Alberto Negri sul manifesto di domenica come con il Faraone sia in atto un contratto di ben 9 miliardi di dollari per la fornitura di fregate, cacciabombardieri e aerei da addestramento. Mentre la mobilitazione dei camalli e dei pacifisti è riuscita a bloccare per qualche tempo la fornitura di altri micidiali armamenti all’Arabia Saudita ed Erdogan continua a ricevere le sofisticate apparecchiature con le quali fa a pezzi le milizie kurde in Rojava. Del resto ben la metà dell’export bellico italiano è indirizzato verso il Nord Africa e il Medio Oriente.
Occorre quindi dire a chiare lettere che l’atteggiamento del nostro governo, rispetto a costoro, è eticamente impresentabile, politicamente sbagliato e strategicamente autolesionista. Il ministro degli Affari esteri Luigi Di Maio sembra più intento a seguire le battaglie interne del suo partito, di cui ha recentemente abbandonato la direzione politica, che le vicende della politica internazionale. E ciò mentre il Mediterraneo diventa sempre più un mare di guai, dove si intrecciano le trame e le beghe tra Putin, Erdogan, Macron, Trump e altri.
Il governo italiano, palesemente privo di una propria linea autonoma in materia e addirittura spaccato, secondo taluni osservatori, tra una cordata di osservanza contiana e una di osservanza dimaiana, oscilla fra l’uno e l’altro dei contendenti internazionali, salvo essere pronto a pagare sempre il consueto servo encomio agli Stati Uniti, come dimostrato dalla mancata adesione al gruppo costituito in ambito europeo per reagire al piano di Trump per la Palestina che comporta definitivamente la liquidazione di ogni progetto di Stato palestinese indipendente.
Basterebbe, per cominciare ad invertire la rotta, seguire l’insegnamento di Papa Francesco, il quale ha definito l’industria della guerra la più grande struttura dell’ingiustizia, e bloccare ogni esportazione di armi verso Egitto, Arabia Saudita e Turchia. E sostenere con maggiore coerenza le ragioni dei militanti dei diritti umani che vengono imprigionati e torturati in questi Paesi e dei popoli oggi oppressi e massacrati. Anche a costo di perdere qualche commessa.
La Storia ce le restituirebbe con gli interessi. Ma sembra che siano rimasti oggi solo i camalli a difendere i principi della nostra Costituzione, il dettato delle nostre leggi e quello della Carta delle Nazioni Unite. I governanti invece difendono gli interessi di Finmeccanica, Eni, ecc.
Da questo punto di vista Conte non è certo molto meglio di Matteo Salvini, come purtroppo emerge anche dalla riforma a metà, del tutto insufficiente e contraddittoria, del Decreto Sicurezza, che mantiene incredibilmente la penalizzazione delle Ong che salvano le vite umane in mare. Urge invece un vero e proprio rovesciamento di criteri, priorità, obiettivi e valori di una politica estera (e interna) per troppi versi totalmente fallimentare.