L’Italia è un Paese dove i rappresentanti politici e gli uomini di potere litigano ogni giorno su tutto, o quasi. Fa eccezione, per ora, il grande affare delle Olimpiadi invernali: “La macchina dei Giochi viaggia a pieno ritmo”, titola con enfasi un giornalone, nel dare conto dei vari passaggi burocratici già adempiuti. In poche settimane ci sono state la prima legge di finanziamento del governo, la nomina dei vertici dei vari Comitato organizzatore, Consiglio Olimpico e Società per le Infrastrutture, le relative riunioni “di Squadra”, la definizione delle opere fondamentali e urgenti (25 tra strade, ferrovie e costruzioni varie, secondo quanto dichiarato dai presidenti di Regione, ma in ballo ci sarebbero addirittura 46 grandi opere, per il Sole 24 ore, che è andato a vedere meglio nel dettaglio le varie richieste degli enti locali da Milano a Cortina).

Lo stupore e l’entusiasmo dei giornaloni si fonda anche sull’inconsueta convergenza di una pluralità di apporti, che vanno dal ministro pentastellato dello Sport ai presidenti leghisti delle due Regioni, dall’aspirante leader del centrosinistra Sala ai vari Confindustrioti che siedono nelle poltrone chiave, dai salotti del generone romano di Malagò presidente del Coni al mondo di mezzo del management e della finanza internazionale, incarnati dal general manager scelto per l’occasione Vincenzo Novari, ex numero uno di 3-Wind. Zaia, che è sempre il più entusiasta a far girare la manovella, vorrebbe addirittura riaprire l’aeroporto di Cortina, contro il parere degli stessi ampezzani, che temono che il ripristino dell’infelice infrastruttura (fu chiusa dopo vari incidenti) possa favorire in realtà un ulteriore incremento delle presenze nella vicina e rivale Alta Badia. Sic!

Basta poi aprire un giornale francese o svizzero, per leggere che i nostri vicini alpini stanno decidendo se e quanto investire ancora negli impianti da sci e nel turismo invernale, se chiudere del tutto i piccoli aeroporti di montagna come Chamberry, quanto drasticamente limitare il traffico automobilistico sulle strade in quota (per non dire dei ribaditi divieti austriaci ai troppi tir per il passo Brennero): insomma, lavorano seriamente per salvare il salvabile di un sistema naturale la cui fragilità a fronte del cambiamento climatico è più che acclarata. In Italia no, siamo ancora a crogiolarsi nel sogno di quell’occasione “unica” delle Olimpiadi invernali 2026: “Attesi un milione e settecentomila visitatori da tutto il mondo”, ripetono entusiasti i pasdaran della disinformazione.

Peccato che si parli di una porzione di territorio alpino dove le strade sono spesso infernali e per niente adatte a resistere a eventi naturali come frane e valanghe, altro che il fantomatico trippone di oltre un milione e mezzo in più di turisti da far scarrozzare in giro. Di sicuro ci sarà una discreta quantità di addetti ai lavori, di atleti e accompagnatori, di osservatori e giornalisti, di personale sanitario e di sussistenza, da far viaggiare tra le varie sedi olimpiche così bene sparse tra i bricchi dell’Italia del nord-est, e siamo sicuri che si assisterà a un incremento allucinante del traffico di elicotteri.

Parlando di olimpiadi della neve da tenersi tra sei anni di ulteriore prevedibilissimo “climate change”, bisognerebbe tenere conto, soprattutto, che sulle nostre montagne non nevica quasi più già adesso, se non a novembre o in primavera avanzata, e che la siccità è una dominante da alcuni anni, per cui paiono a chiunque un’orribile assurdità gli invasi sempre più grandi per le riserve d’acqua da impiegare nell’innevamento artificiale, nonché il folle consumo energetico richiesto, per non dire delle devastazioni ambientali delle canalizzazioni connesse. Basterebbe poi ricordarci che il precedente olimpico invernale torinese del 2006 ha causato un bell’esborso di 4 miliardi di euro dalla casse pubbliche (vedi Guido Sassi su L’Extraterrestre de ‘il manifesto’, 30.1.2020), a fronte di un ritorno ridicolo sia nel breve, sia soprattutto in termini di sviluppo e di rilancio turistico delle località coinvolte. E poi, certo, mancava giusto un altro po’ di cemento e qualche nuova speculazione edilizia, con la scusa dei “villaggi olimpici”, a Milano come a Cortina.

Ma non lo immaginano che fine possono fare Spadafora e Sala, Zaia e Malagò, Novari e Fontana, da qui a fine decennio, se l’onda verde e ambientalista monterà ancora di più nella nostra Europa, se movimenti come gli Extinction Rebels si moltiplicheranno, se alla fine si allestirà magari una sacrosanta Norimberga dei crimini contro l’ambiente?

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