Primo dibattito per l'ex sindaco di New York - nonché nono uomo più ricco del mondo - in vista delle primarie in Nevada il 22 febbraio. In rapida risalita nei sondaggi grazie a una campagna da milioni di dollari e con un passato repubblicano e indipendente, è pragmatico e lontano dalla linea progressista dem. Ha una fortuna stimata intorno ai 62 miliardi di dollari, e ora punta alla casa Bianca. Per farlo non ha esitato a tornare nel partito che aveva lasciato
È il giorno del debutto di Michael Bloomberg: l’ex sindaco di New York – nonché nono uomo più ricco del mondo – partecipa al primo dibattito tra i candidati dem in Nevada, in vista delle primarie del 22 febbraio dello stato di Las Vegas. Altri cinque i nomi in campo: Bernie Sanders – che i sondaggi danno ampiamente in testa a livello nazionale, al 32% – e che ha vinto le primarie in New Hampshire, Joe Biden (ex vice di Obama al 17%, in calo di 11 punti rispetto a gennaio), Elizabeth Warren (11%), Pete Buttigieg, vincitore delle primarie del debutto in Iowa (7%) e Amy Klobuchar (6%). Bloomberg – prima democratico, poi repubblicano, indipendente e oggi tornato al via – al momento registra il 14% dei consensi, ma è in forte ascesa, visto che intende anche investire di tasca sua – e ha già iniziato a farlo – fino a due miliardi di dollari per la campagna elettorale.
Una cifra stellare per arrivare a sfidare Trump che, più che un avversario, per Bloomberg è un amico: negli ultimi giorni sono diventate infatti virali sui media le foto che lo mostrano sorridente sul campo da golf insieme a lui. Nonostante questo, il miliardario originario di Boston ha fatto campagna attaccando aggressivamente il presidente Usa anche sul piano etico, accusandolo di non aver messo i suoi asset in un blind trust, preferendo invece affidarne la gestione ai figli. Accuse mosse sin da subito anche dai dem, che hanno contestato al tycoon di violare la Costituzione accettando pagamenti da governi stranieri attraverso i suoi hotel e golf club. Al contrario, a poche ore dal dibattito, il magnate dell’informazione economico-finanziaria ha annunciato che in caso di vittoria delle presidenziali venderà la sua media company. L’ex sindaco di New York detiene circa il 90% dell’omonima data e media company fondata nel 1981, che serve 325 mila clienti e che nel 2019 ha fruttato 10,5 miliardi di ricavi (+5,7% rispetto all’anno prima).
Il caso degli “endorsement” a Trump – Le foto, pubblicate per primo da Bernie Sanders in risposta all’attacco di Bloomberg che diceva che Trump era “il nuovo bro di Bernie”, non sono l’unica testimonianza dei rapporti di amicizia tra i due tycoon neyorkesi. “Io sono amico di Donald Trump, è un’icona newyorkese’ , disse nel 2011 in un’intervista a Fox News. Ma il video più insidioso è quello registrato un mese dopo la vittoria di Trump nel 2016, quando, durante un discorso alla business school di Oxford, Bloomberg parlò in modo ironico, ed in un certo senso affettuoso, di Trump esprimendo la “speranza” che potesse essere “un buon presidente’. Agli studenti Bloomberg raccontò di aver incontrato Trump che gli disse di aver sentito il discorso che aveva fatto alla convention democratica di Filadelfia: “Ma in realtà tu mi vuoi bene, non è vero?”, gli disse ancora Trump. “Ed io risposi, sì Donald ti voglio bene, solo non sono d’accordo con nessuna cosa che dici. E ci siamo fatti una bella risata”, fu la replica di Bloomberg. “Se vai a cena con Donald Trump, probabilmente te ne vai dicendo che quello che ha detto sono tutte stupidaggini, ma ti sei divertito, è una persona simpatica – continuava il discorso di Bloomberg – Sarà un buon presidente? Lo spero perché abbiamo disperato bisogno di leadership nel Paese e nel mondo”.
mike bloomberg on fox news in 2011: “i’m a friend of donald trump. he’s a new york icon.”
he’s then asked about trump’s racist birther attacks on obama. bloomberg downplays trump’s involvement: “this birther issue is more than one person, lots of groups have glommed on to this” pic.twitter.com/iqW2rm19BK
— Matt Binder (@MattBinder) February 14, 2020
Interpellata da Politico, la campagna di Bloomberg ha cercato di ridimensionare il significato di queste parole: “Quando Trump è arrivato alla Casa Bianca, Bloomberg come la maggioranza degli americani, ha sperato che potesse dimostrarsi all’altezza della situazione, invece Trump ha tradito le speranze degli americani. Ed è per questo che Mike è candidato a sostituirlo”, ha risposto il consigliere e da sempre portavoce dell’ex sindaco Stu Loeser, sottolineando che “sempre più americani dicono che Mike è l’unico in grado di cacciare Trump dalla Casa Bianca”. Ovviamente di segno opposto, il commento della campagna di Sanders: “Miliardari spesso hanno molte più cose in comune tra di loro di quanto le abbiano con la classe dei lavoratori e questo la gente lo sa”, ha detto Mike Casca, portavoce del senatore del Vermont, indicando quale sarà la linea di attacco di Sanders, ma forse di tutti i candidati contro Bloomberg – che nella classifica di Forbes del 2019 risulta come il nono uomo più ricco del mondo, il sesto d’America.
Il ritratto – Nato nel 1942 in una famiglia del ceto medio – il padre era contabile – di Medford, un sobborgo di Boston, Bloomberg si laurea in ingegneria alla Johns Hopkins University di Baltimora ed inizia a lavorare a Wall Street dopo il Master ad Harvard nel 1966. Nel 1972 diventa partner dei Salomon Brothers, ma la relazione con la società si interrompe bruscamente nove anni dopo quando viene acquisita e Bloomberg viene licenziato. A questo punto usa la sua parte della vendita per creare la sua società ora l’impero finanziario e mediatico che porta il suo nome con uffici in tutto il mondo. Con una fortuna stimata intorno ai 62 miliardi di dollari, Bloomberg è, secondo la classifica Forbes del 2019, il nono uomo più ricco del mondo ed il sesto d’America. Ma evidentemente, per un uomo descritto come sempre desideroso di suscitare ammirazione, il successo negli affari non è sufficiente e quasi 20 anni fa arriva la prima discesa in campo in politica. “Voleva essere il capo in qualsiasi cosa facesse, voleva sempre comandare”, aveva ricordato in in una biografia del 2009 citata dalla Bbc la madre Charlotte. Per candidarsi a sindaco di New York, Bloomberg lascia il partito democratico e diventa repubblicano, garantendosi così il sostegno di Giuliani, allora ex procuratore e sindaco di ferro della Grande Mela diventato l’eroe ed il simbolo della risposta all’11 settembre, ora controverso protagonista, nelle veste di avvocato personale di Donald Trump, del Kievgate che ha portato all’impeachment.
Come sta facendo per questa campagna presidenziale, anche per quella da sindaco Bloomberg spende decine di milioni di dollari – ora sono centinaia – di tasca propria. Durante il primo mandato da sindaco vieta le sigarette nei bar, si oppone ai sindacati di trasporti e lancia una crociata contro i venditori ambulanti, aumenta le tasse e taglia le spese. Ma un miglioramento dell’economia, delle scuole e l’abbassamento del tasso di criminalità gli fanno vincere un secondo mandato con un margine del 20%, il massimo mai avuto da un sindaco repubblicano nella città tradizionalmente liberal. A questo punto Bloomberg punta ad un terzo mandato da record e per farlo lascia il partito repubblicano, presentandosi e vincendo come indipendente. “In Dio crediamo, per tutto il resto, portatemi i dati”, era il motto preferito del sindaco che ha costruito un messaggio centrato sul pragmatismo a prescindere dei partiti.
Quando lascia la City Hall nel 2013, i newyorkesi considerano i suoi 12 anni da sindaco un successo. Cosa che lo sospinge di nuovo verso il campo dei democratici, anche e soprattutto grazie all’impegno filantropico che lo porta ad investire milioni di dollari in vari progetti, il principale dei quali quello per una legislazione che imponga controlli sulla vendita delle armi negli Stati Uniti. Nelle ultime elezioni del 2018 ha speso 41 milioni di dollari per sostenere le campagna di 24 candidati democratici alla Camera: 21, tra i quali 15 donne, hanno vinto. Nel 2019 ha donato 3,9 miliardi di dollari a gruppi che sostengono campagne manifesto della sinistra, dall’ambiente alla difesa del diritto delle donne a scegliere l’interruzione di gravidanza.
Nonostante questo quando, a fine novembre, Bloomberg, dopo lunghi mesi di esitazioni e ripensamenti, annuncia finalmente che ha deciso di candidarsi perché ritiene di essere l’unico in grado di battere Trump, il profilo del miliardario politico appare in grande contrasto con la direzione nettamente a sinistra che il partito sembra aver preso dal 2016. Ma, dopo essere rimasto per mesi indietro nei sondaggi, nelle ultime settimane stanno cominciando a farsi sentire i risultati della massiccia campagna di spot, per la quale ha finora speso 300 milioni di dollari. E gli ultimi sondaggi danno Bloomberg secondo dietro a Bernie Sanders. Insomma, un duello tra il senatore socialista e l’ex sindaco capitalista.