Mafie

Delitto Bruno Caccia, Cassazione conferma l’ergastolo a Schirripa. La famiglia del magistrato: “Solo mezza verità”

L’ex panettiere legato alla 'ndrangheta è accusato di aver fatto parte del gruppo di fuoco che la sera del 26 giugno 1983 sparò e uccise il procuratore di Torino, 65 anni, uscito di casa a portare a spasso il cane

“Quanto è stato accertato fin qui dai processi è solo una mezza verità”. È la riflessione di Guido, Paola e Cristina Caccia, figli del procuratore di Torino Bruno Caccia ucciso dalla ‘ndrangheta, dopo la conferma in Cassazione dell’ergastolo a Rocco Schirripa, accusato di aver fatto parte del gruppo di fuoco che la sera del 26 giugno 1983 uccise il magistrato. “Mancano ancora – dicono i famigliari – i nomi degli altri esecutori e non è stata fatta piena luce su movente e mandante”. Shirripa, l’ex panettiere legato alla ‘ndrangheta accusato di aver fatto parte del gruppo di fuoco che la sera del 26 giugno 1983 sparò e uccise il procuratore di Torino, 65 anni, uscito di casa a portare a spasso il cane. Secondo l’accusa, con questo omicidio il boss calabrese Domenico Belfiore aveva eliminato il magistrato che costituiva un ostacolo agli interessi della criminalità organizzata nel capoluogo piemontese. Caccia poco prima di essere ammazzato aveva disposto perquisizioni al casinò di Saint Vincent per il sospetto di riciclaggio di capitali mafiosi.

Con il verdetto emesso dalla Prima sezione penale della Suprema Corte è diventato definitivo il carcere per l’imputato così come deciso dalla Corte d’assise d’appello di Milano il 14 febbraio 2019. Anche in primo grado l’imputato era stato condannato all’ergastolo e si trova in cella dal 2015. “Non conosciamo l’identità degli altri mandanti e delle altre persone che hanno sparato“, aveva detto subito dopo il verdetto l’avvocato Fabio Repaci che rappresenta i familiari di Caccia, insistendo perché si faccia piena luce sul delitto rimasto a lungo un cold case riaperto dalle intercettazioni tramite un trojan e da elementi raccolti nel processo ‘Minotauro’ a clan della ‘ndrangheta. Per le indagini considerate lacunose della Dda di Milano, il procedimento sull’omicidio di Caccia venne avocato dalla procura generale del capoluogo lombardo. “Questa inchiesta sulla morte di un magistrato l’unico caso nel quale l’attività processuale si è rifiutata di sentire i colleghi di Caccia e i suoi familiari”, ha ricordato Repaci. Nella sua requisitoria il pg della Cassazione Alfredo Viola aveva definito l’uccisione di Caccia come connotata da ” trame ampie e complesse”. “Caccia è stato un servitore dello Stato con una condotta fuori dall’ordinario non per i passi fatti in avanti ma per i passi indietro fatti da altri, e con le parole di Giovanni Falcone ricordo che ‘si muore perché spesso si è privi delle necessarie alleanzè”. Caccia, ha poi aggiunto Viola , “è la prima vittima di mafia al nord “. Il Pg inoltre ha sottolineato che le misure di protezione disposte per tutelare Caccia – magistrato di punta alla Procura di Torino -“purtroppo si sono rivelate non stringenti”.