di Bruno Tommasini

Il movimento delle Sardine è sicuramente la novità politica più rilevante degli ultimi anni: ha portato in piazza persone che non si vedevano da tempo, risvegliando in molti l’entusiasmo e la voglia di partecipare. Il primo risultato è stato la prima sconfitta elettorale di Matteo Salvini, che ha fallito il suo “attacco” all’Emilia Romagna – anche perché un numero considerevole e inaspettato di persone è andato a votare.

Dopo la pars destruens, per le Sardine è venuta l’ora della pars costruens e i nodi possono venire al pettine, anche senza le gaffe dai Benetton. E’ difficile infatti mantenere un’effettiva democrazia di partecipazione quando non la si pratica da decenni e quando tutto il meccanismo dei media, dai social in giù, ricerca il personaggio da offrire al pubblico, il Mattia Santori di turno, il quale sarà sicuramente una persona sincera e in gambissima ma non si può pretendere che diventi il nuovo messia della sinistra nazionale, né che dica una cosa originale e intelligente tutti i giorni.

Eppure sembra che sia proprio quello che il sistema si aspetta da lui, perché la persona politica è diventata più importante del suo pensiero. Non si vota infatti per idee politiche, ma per Salvini, Di Maio o Renzi, Meloni, Zingaretti e per fortuna non più tanto per Berlusconi. Le liste con i nomi abbondano ed evidentemente vuol dire che la personalizzazione della politica ha qualche appeal sull’elettorato, oltre che riuscire ad arricchire gli spin doctor.

L’immagine delle Sardine però richiamava qualcosa di diverso, la moltitudine che si stringe stretta stretta in una piazza e da piccola diventa forte e potente. Il successo che ha avuto l’appello di Mattia Santori e soci è indice che non c’è voglia solo di personaggi forti, ma anche di partecipazione e democrazia reale. Non ci si può limitare alla partecipazione per votare “contro qualcuno” perché da quando ho l’età per andare a votare (e ho 45 anni) ho sempre sentito che bisognava andare alle urne perché altrimenti vinceva “quell’altro”: il pentapartito di Craxi e Andreotti, Berlusconi, il leghista o postfascista di turno, fino a dover andare a votare perché altrimenti Salvini avrebbe vinto in Emilia Romagna. Quale sarà il prossimo appello elettorale? Andare a votare perché altrimenti Alessandra Mussolini diventa sindaco di Sesto San Giovanni? E forse non ci siamo neppure così lontano…

Il votare solo “contro” è una deriva senza fine, ma è nel periodo tra una elezione e un’altra che bisogna creare veramente una politica per questo paese, puntando sulla partecipazione diretta delle persone, sollevando questioni e discussioni, riscoprendo le piazze sia reali che virtuali come luogo di incontro e crescita sociale. Gli esempi non mancano: dai social forum di 20 anni fa, che furono spenti nel sangue del G8 di Genova, ma anche dal desiderio di gestione e omologazione di certi partiti di sinistra, al movimento degli indignados, fino a Extinction Rebellion.

Come icona può tornare in mente anche il passamontagna degli zapatisti, usato dai ribelli per questioni di salvaguardia ma anche come simbolo: non è importante chi dica certe cose, ma ciò che viene detto.

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