Gli imprenditori tarantini lo chiamavano “l’imperatore”. Il contrammiraglio Cristiano Nervi, classe 1963 di La Spezia, era direttore dell’Arsenale di Taranto dal settembre 2018. Qualche mese prima, in città, c’era già qualcuno che esultava: nelle 65 pagine che compongono l’ordinanza firmata dal gip Benedetto Ruberto, infatti, si legge che “l’arrivo di Nervi Cristiano a Taranto, per dirigere l’Arsenale, viene salutato con esultanza” dall’imprenditore Giona Guardascione che a bordo della sua auto racconta ignaro di essere ascoltato dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria: “Allora, Nervi… Nervi… arriva a settembre… e mi ha già detto che ha parlato con… ha già parlato con l’Ammiraglio ‘blà blà blà’ per il Veneto. Chiaramente, me lo hanno fatto capire… devo essere chiamato!”.

In quei mesi Taranto erano da poco passato il clamore di due grandi inchieste giudiziarie che avevano profondamente imbarazzato la Marina militare. L’ultima aveva coinvolto il comandante di Giovanni Di Guardo, l’alto ufficiale scelto per riportare legalità dopo il primo terremoto che aveva scoperchiato la tangentopoli militare, e che invece era stato arrestato con il suo cerchio magico di imprenditori. In quel caso di Guardo aveva chiamato gli imprenditori “amici” ben prima di arrivare fisicamente a Taranto a testimonianza che a nulla erano valse le inchieste della magistratura.

Anche nel nuovo filone di indagine, con 12 arresti, il pm Maurizio Carbone ha sottolineato come “i numerosi provvedimenti restrittivi emessi nell’ambito di quel procedimento non abbiano esercitato alcun effetto deterrente rispetto alle analoghe condotte contestate agli odierni indagati nella presente vicenda”: l’ultima inchiesta, infatti, porta infatti alla luce in modo ancor più inquietante “la assoluta disinvoltura e spregiudicatezza” con cui gli imprenditori del cartello tarantino avevano “monopolizzato” gli appalti all’interno dell’ Arsenale. Come in passato, gli imprenditori avevano “immediatamente preso contatti con il nuovo comandante dell’Arsenale – si legge nelle carte di inchiesta – evidentemente per nulla intimoriti dall’esito delle recenti indagini”.

L’imperatore Nervi, che risponde solo di turbativa d’asta, li incontra in più occasioni. Poco dopo il suo arrivo, ad esempio, scopre che le cinque gare di appalto indette dal suo predecessore sono andate deserte perché gli importi non sono stati ritenuti remunerativi e così contatta Armando De Comite, secondo gli inquirenti a capo del cartello: nell’ufficio dell’ammiraglio insieme a De Comite si recano altri imprenditori e tra questi anche Vincenzo Cesareo, titolare della ditta Comes ed ex presidente di Confindunstria che al momento non risulta tra gli indagati.

L’imperatore, in quell’occasione, minaccia: se le imprese dell’indotto non dovessero partecipare alle gare allora saranno spacchettate, con importi “sotto-soglia”, per utilizzare altre forme di appalti a cui potranno partecipare anche imprese di altre province. Insomma se nessuno risponde quelle gare potrebbero diventare “non controllabili”. In quegli incontri, i telefoni cellulari controllati dai finanzieri spenti dai rispettivi o lasciati lontano dai luoghi dei colloqui. Non solo. I finanzieri hanno accertato che il contrammiraglio Nervi, sospettando di essere intercettato, ha convocato il personale specializzato della Marina Militare e ha proceduto alla bonifica del suo ufficio trovando le microspie piazzate dagli investigatori.

Dopo quegli incontri, qualcosa cambia e le gare che l’arsenale di Taranto ha bandito nel mese di ottobre 2018 sono state aggiudicate alle imprese rappresentate proprio da coloro che avevano incontrato Nervi: “I dati trasmessi dall’arsenale di Taranto – scrivono gli inquirenti – hanno, effettivamente, confermato quanto emerso dalle intercettazioni, in quanto le imprese riconducibili agli imprenditori con cui il Nervi si era incontrato nei giorni precedenti sono quelle che poi hanno partecipato alle gare risultando aggiudicatarie delle medesime”.

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