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Tendenze: Ponte di Legno-Tonale, dove la montagna dà spettacolo

Un igloo capace di ospitare 300 persone, che non ha eguali in Europa, spettacolarmente piantato sul ghiacciaio Presena a 2600 metri di quota dove si terrà una stagione di concerti, come in un vero teatro. In fase di realizzazione un centro termale da 25 milioni di euro in grado di competere con le terme più prestigiosi esistenti. E poi cento chilometri tondi sciabili suddivisi su 41 piste servite da 28 impianti di risalita. C’è anche una famosa scuola di sledog e una serie di parchi sul tema neve. La stazione turistica della Valcamonica è in un continuo crescendo e punta in alto. Più della quota del suo ghiacciaio.

Testo di Lucio Valetti, Foto di Lucio Valetti

L’ultima invenzione certo non se l’aspettava nessuno. Anche se il fermento di Ponte di Legno, fino a qualche anno fa pacifico, tradizionale, paese di montagna (dal nome strano) su in Alta Valle Camonica, è tangibile. Le ambizioni sono dichiarate e i progetti nel cassetto degli amministratori sono alti come un faldone da catasto ottocentesco. Alcuni già avviati, altri sulla linea di partenza. Nel segno dello sport e del benessere vacanziero in genere. E il benessere economico della comunità, certo. Però un igloo… Insomma una di quelle costruzioni di ghiaccio che da piccoli si vedevano sui libri delle elementari e poi nei documentari della Bbc. Piccoli rifugi con dentro famigliole di inuit, o eschimesi, come si chiamavano un tempo, con i lumini alimentati dal grasso di foca. Qui dentro invece ci stanno 300 persone, un intero villaggio. Di inuit, dico. Una semisfera bianca, piantata in un magnifico paesaggio bianco e gelido, per metà scavata nel ghiaccio, con le montagne intorno e montagne anche verso il basso, visto che siamo a quasi 3000 metri di quota. Un lavoro immenso. Decine di persone, immagino, centinaia di ore, al lavoro per un’opera d’arte, più che un banale manufatto. Un teatro di ghiaccio, unico, probabilmente, nel suo genere. Perfettamente e ecologicamente inserito nel panorama bianco del ghiacciaio Presena. Con tanto di stagione concertistica già programmata. Un progetto che ha affascinato e attratto sponsor di un certo rilievo. Per esempio la Mercedes-Benz con la sigle EQ (riferito al marchio cento per cento elettrico del marchio tedesco giusto per restare in tema ecologia) per cui l’igloo si chiama “EQ Ice Dome”.

Non basta, Al progetto ha partecipato, coordinando i lavori, Tim Linhart, artista statunitense con strane idee sulla concezione degli strumenti musicali. Lui, infatti, li realizza di ghiaccio. Per l’esattezza ne ha costruiti 16, tra violini, viole, violoncelli e chitarre. Perfetti nella forme e nelle dimensioni, solo che invece di caldo legno, come vuole la tradizione, sono di freddo ghiaccio. Stradivari resterebbe perplesso. A completare l’orchestra un enorme xilofono e un set di percussioni, sempre di ghiaccio. Ma l’arte è così, deve stupire. L’opera più ecosostenibile del mondo, “niente di più ecologico dell’acqua usata come materiale di costruzione”, spiegavano gli amministratori pubblici nello scorso gennaio 2020 nella fiabesca serata di inaugurazione di quella che si chiama Ice Music Festival. Sul palco, di ghiaccio, il violinista Andrea Casta, il suo violino, di ghiaccio, e archetti luminosi (e anche in questo caso Stradivari…). Una volta al mese al termine dei concerti nel teatro-igloo grandi chef presenteranno i propri menu degustazione nel vicino Rifugio Passo Paradiso a 2585 metri a due passi dall’igloo. E si passa, meno male, al caldo di un rifugio alpino che sa di legno e sapori.

Al ghiacciaio Presena si arriva con una cabinovia che parte dal Passo del Tonale, spartiacque tra la provincia di Brescia e Trento, tra Lombardia e Trentino. Al Tonale si arriva con un altro impianto che invece parte direttamente da Ponte di Legno. E proprio da questo impianto è iniziata la svolta per tutto il comprensorio. Esattamente il 2 dicembre 2006 si era inaugurata la cabinovia considerata al tempo il più lungo impianto di risalita d’Italia, record probabilmente ancora imbattuto. Collega il paese a 1260 metri al Passo del Tonale a 1884 metri in una quindicina di minuti con un cavo di 5 chilometri. Evitando la dozzina di chilometri di statale solitamente intasata di auto con relativo portasci e pullman degli sciatori della domenica. E creando così un comprensorio sciistico tra i più grandi d’Italia che parte da Temù, frazione a sud di Ponte (gli aficionados la chiamano sbrigativamente Ponte), che si è fatto le sue brave otto piste, per finire sul panettone del Tonale, e su su fino al ghiacciaio Presena, a 3000 metri, dove si è sempre sciato perfino d’estate quando le nevicate erano generose e frequenti, ma si scia ancora oggi con il miracolo dei cannoni sparaneve. “La nuova cabinovia proietta il comprensorio Adamello Ski nel gotha delle destinazioni turistiche a livello europeo – disse l’allora direttore del Consorzio Adamello Ski, Francesco Bosco – e rappresenta una grandissima opportunità per il turismo in alta Valle Camonica, che già conta grande affluenza italiana e straniera”. Ed ebbe ragione.

Adamello Ski non si usa più, si preferito chiamare il comprensorio Pontedilegno-Tonale. Vuol dire 42 piste, 28 impianti che portano su sciatori a migliaia che possono, se si ha fiato e gambe, sciare per cento chilometri. Lo volle la Regione Lombardia, parteciparono un po’ tutti, comuni, la Provincia di Brescia, Camera di commercio. Fu una buona idea per tutti, ma alla fine strappò la vecchia Ponte alla sua serena tranquillità. Sì, c’erano piste, poche, si sciava, ma con moderazione. Il grosso dei turisti scivolava via e si affollava su al Tonale. Era tradizionalmente la piccola montagna dei bresciani a cui si erano aggiunti i milanesi e pochi altri forestieri, che fuggivano i fasti complicati e affollati di Madonna di Campiglio o di stelle ancora più grandi. La famiglie benestanti si erano costruiti chalet, ville di vacanza e ci passavano inverni pacifici e estati verdi a contatto con una comunità valligiana autentica e senza fronzoli. Molte delle vie del paese portano ancora i nomi di quelle famiglie, via Bonicelli, via Marangoni, via Masera, per esempio. I bambini dei contadini portavano il latte nelle case dei forestieri, o il burro e i formaggi fatti nelle malghe estive, o su alle Case di Viso, un magnifico agglomerato di malghe di pietra, o nella Valle delle Messi, o su verso la valle di Cané. E poi c’erano le case delle suore e le colonie dei bambini.

Non c’è solo lo sci da queste parti, c’è la magnificenza del Parco dell’Adamello, cime, sentieri, laghetti, scalate. Il successo ha cambiato un po’ il volto di Ponte. Le vecchie ville, i vecchi chalet sono rimasti. Ma non tutti. Qualcuna degli storici frequentatori se n’è andato, qualche villa è stata buttata giù per far posto ad una vigorosa, forse eccessiva, operazione immobiliare. Condomini in val Sozzine, residence e complessi di mini-chalettini finto-tradizionale ovunque a scalare i fianchi di montagne non più verdi, agglomerati di micro seconde case. C’è perfino un parcheggio sotterraneo in stile metropolitano in centro al paese. E’ lo scotto che si paga: dove le metti tutte le persone che vogliono venire qui? Qualcuno però si è accorto che ci vorrebbe qualche albergo in più. Non solo seconde case, anche se è proprio una tradizione dalignese. Dalignese sta per abitante di Ponte di Legno e deriva forse da Dalania,che era le vecchia denominazione del territorio prima dell’Anno Mille. Non importa, paese dal nome strano, abitanti dal nome strano. Per fortuna ci sono magnifiche piccole frazioni, intatte, case di pietra, fienili, qualche volta ristrutturate con sapienza e gusto dall’architetto di passaggio. Pezzo, 1565 m di quota, lontano dal caos del successo, delizioso borghetto alpino, perfino romantico. Una celebre trattoria, case di pietra, stradine strette dove la auto passano a fatica. Zoanno, appena fuori Ponte ma abbastanza per godersi la montagna d’altri tempi. Vione, Canè come si diceva. Dove le note dei rumorosi aperitivi con musica in via Roma, la via quasi pedonale (quasi) che sarebbe il corso buono del paese, la via dello shopping, dei caffè, insieme alla piazza, che fa parte dei rituali dalignesi durante il pieno dei momenti di vacanza, arrivano affievoliti. O non arrivano del tutto. Insomma la natura, meno male, oltre i fasti modaioli del successo, è parte fondamentale del successo.

C’è anche un campo da golf magnifico, chiuso dentro una cornice di vette e prati fioriti sopra il paese, verso il Corno d’Aola. E prima del Tonale perfino una centro di sledog, Huskyland (perché ormai anche qui in Valcamonica si deve parlare il linguaggio internazionale) inventata da un armeno, Armen Khatchikian arrivato qui con i suoi cani da slitta nell’estate del 1983 dopo aver acquisito le esperienze necessarie, partecipando alla mitica “Iditarod” in Alaska. Gli itinerari da percorrere con le slitte trainate dai cani non si contano. Ma anche senza neve le escursioni in mezzo al natura del Parco dell’Adamello, stavolta solo accompagnati dai cani, sono altrettanto belle.

E poi una sera, sei li che guardi fuori dalla terrazza di una casa appena fuori da Ponte di Legno, ma non lontana dalla strada dello shopping e degli aperitivi, e alla luce della luna vedi ombre strane che si muovono. E poi corrono, saltano come se niente fosse le recinzioni delle case davanti. Dieci, venti, forse più ombre sempre più distinte. Un branco di cervi. Femmine. “I maschi stanno su, solitari -ti racconta la gente di Ponte- le femmine scendono a branchi, curiose”. Sono migliaia, dicono i censimenti ufficiali, sparsi in tutto il comprensorio, quando nevica vengono a valle a cercare prati liberi dalla neve. Si sono visti anche cervi maschi tranquillamente girare per le strade di Ponte fuori stagione, quando tutto torna silenzioso come un tempo. Come a Yellowstone. Ci sono anche lupi, cinghiali, perché questa è montagna vera. E sulla strada che porta alle Case di Viso incontro una vecchia jeep con sopra un vecchio signore che giura di essere stato bloccato un giorno su questa strada da un orso. “Insomma lui era lì, n0n che mi facesse paura, però non ho osato passargli vicino”. Lui era uno di quei bambini che portavano ogni giorno il latte alle case dei “signori” che venivano dalla città.

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