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The Smiths, Meat is Murder compie 35 anni. Celebriamolo consapevoli che la reunion non ci sarà mai

Esiste un motivo nel 2020 per ricominciare a parlare degli Smiths? Ma che domanda! I presupposti per parlare dei quattro di Manchester si trovano sempre, a maggior ragione quando, a esser servita su un piatto d’argento, è la celebrazione di Meat is Murder, il secondo album della formazione britannica, concepito proprio in questi giorni di trentacinque anni fa.

Vediamolo nei consueti nove punti.

1. Partiamo da lontano recuperando nozioni facilmente reperibili nell’internet. La copertina, ad esempio, ritrae un’immagine di un soldato tratta dal documentario di Emile de Antonio: In the Year of the Pig, del 1968. In verità, la scritta sull’elmetto del soldato (ovvero il titolo del disco, Meat Is Murder) è stata modificata dal gruppo. La dicitura riportata nella foto originale, infatti, era Make War Not Love. La foto è ripetuta quattro volte sulla copertina del vinile e una sola volta su quella di cd e cassette. Sui due lati del vinile sono incise le frasi: “Illness as art e Doing the wythenshawe waltz”. Wythenshawe, per intenderci, è il sobborgo di Manchester dove Johnny Marr è cresciuto.

2. È possibile affermare che il suono della chitarra di Johnny riesca a trovare le giuste coordinate proprio alla seconda fatica discografica? Una domanda che non trova risposte certe, la produzione del disco, ufficialmente affidata al gruppo (ma con il supporto di Stephen Street), racconta il momento di una band in piena evoluzione; The Queen is Dead, il loro capolavoro unanimemente riconosciuto, arriverà soltanto l’anno seguente. Si metta comunque agli atti che nel 1985 non esisteva nessun altro gruppo britannico che facesse musica di questa portata.

3. Se nel primo album poteva esser racchiuso il segreto di un’adolescenza inquieta e tormentata, in Meat is Murder, a turbare, è il presente; “in punta di lingua” Morrissey ne denuncia il tratto, declamandone il disordine, sia esso morale che sociale: “Per me c’è qualcosa di drammaticamente orribile – afferma – nel realizzare che le persone trovino curioso scoprire il costo dei vestiti della Regina. Realizzare che tale figura riesca a portare un vestito di 6.000 sterline suscitando meraviglia nel suo popolo è orribile, un insulto enorme a tutta la razza umana”.

4. Meat is Murder è “il primo disco vegetariano”, Marr a riguardo afferma: “Nel momento in cui uscì, smisi di mangiare carne, mi parve inevitabile, un gesto ineluttabilmente coerente con ciò che tentavamo di comunicare”. L’album, più in generale, eleva la cupa poetica di Morrissey. Forse il vittimismo narcisistico del cantante trova le proprie radici in questi testi? “Preferisco immaginarmi come una persona cinica piuttosto che una figura romantica – dice – apprezzo il valore del sarcasmo, sebbene io non sia un tipo allegro, non possiedo né spirito né predisposizione d’animo per le feste – e finisce dicendo – ma rifiuto l’etichetta di ambasciatore del “miserabilismo”, non voglio subirne l’endorsement, oltretutto affibiatomi da un branco di ignoranti”.

5. In Inghilterra, il termine “miserabilism” è associato ad una figura la cui qualità dell’apparire è depressa; spesso il termine è riferito ad un tipo di musica cupa, ad un certo filone artistico, non soltanto musicale: “Esistono gruppi maggiormente associabili a questa corrente – provoca Moz – mi vengono in mente i Cure”. Il tentativo di discostarsi da certe etichette è comprensibile ma non si può certo dire che le liriche di Meat is Murder non siano pervase da humor nero.

6. È anche vero che l’album coincide con il pieno successo della Band. Raggiungerà, infatti, la vetta delle classifica inglesi, rimanendoci per 13 settimane consecutive. Non esattamente una cosa da poco per una formazione la cui idiosincrasia nei riguardi del sistema era in quel momento più che manifesta. “Essere primi in classifica non è certo il nostro obiettivo”, tuonò al tempo Morrissey. Più in generale l’influenza degli Smiths, in Inghilterra, divenne un fenomeno culturale, ottenuto mediante un transfer emozionale di una generazione consapevole, pronta per sgretolare il muro apparentemente invalicabile dell’indifferenza.

7. Concentrandosi ora sui penetranti riffs di Johnny Marr è possibile fare spazio; la luce, pare prendere il sopravvento, illuminando a giorno le recrudescenze rockabilly di alcuni passaggi ma è soltanto un abbaglio, il cui contrasto sfuma dentro l’abilità di Morrissey nel narrare storie verosimili al contempo fantastiche, mitigate, a tratti evidenziate, dagli arabeschi chitarristici del Nostro. Johnny sul periodo di Meat is Murder aggiunge: “Fu incredibile generare quelle canzoni; musica e testi raccontano gli incastri magici di una band che al tempo viveva praticamente in simbiosi”.

8. Molliamo il disco, concentriamoci sulle suggestioni ereditate da una carriera scintillante: quattro dischi ufficiali più un live, una serie infinita di singoli e un paio di compilation di b-side che gridano, senza mezzi termini, al capolavoro. Ma non è oro tutto quello che luccica, a fare la differenza sono i caratteri dei protagonisti, come è risaputo, per nulla ordinari: Morrissey, dispotico e inflessibile, Marr aperto e insofferente, soprattutto ai diktat del più celebre compagno. Ne restano due, di cui ancora non si è fatta menzione: Andy Rourke e Mike Joyce, rispettivamente al basso e alla batteria; fosse per Moz, bisognerebbe cancellarli dalla storia degli Smiths. Vediamone qui sotto i motivi.

9. Nel 1996, Joyce, in combutta con Rourke, porterà in tribunale “Le Due M”, per una questione di diritti d’autore. L’alterco verrà vinto dal batterista che si vedrà recapitare al proprio indirizzo oltre ai guadagni mancati fino a quel momento, anche le nuove percentuali sui diritti d’autore. La reazione di Moz ancora oggi desta scalpore: “Un terribile errore giudiziario, auguro il peggio del peggio del peggio a Joyce per il resto dei suoi giorni”: incancrenito, è dire poco… Ora, capite per quale motivo la reunion degli Smiths non avverrà mai? Accontentiamoci dunque di celebrarli, raccontandone ogni tanto le gesta, tanto… un motivo per parlarne, su queste pagine, lo troveremo sempre.

Vi lascio con la consueta playlist, connessa all’articolo. Non essendo possibile racchiudere in nove canzoni l’intera poetica di un artista, scelgo di attingere al “potere del random”. Se vi aggrada, potreste lasciare le vostre nove canzoni degli Smiths nei commenti a seguire.

Buon ascolto.

9 canzoni 9… degli Smiths