A Parigi per mettere sul portale la seconda casa è necessario registrarsi come impresa si obbligati a mettere sul mercato degli affitti a lungo termine un altro appartamento nello stesso quartiere. A Barcellona serve una licenza e la sindaca Ada Colau ha chiesto ai cittadini di segnalare i vicini che affittano ai turisti senza autorizzazione
Londra, 80mila. Parigi, 60mila. New York, 49mila. La piccola Amsterdam quasi 20mila. I numeri degli appartamenti e delle stanze in affitto su Airbnb sono impressionanti in tutto il mondo. Le città italiane sono quindi in buona compagnia, anche per quanto riguarda gli effetti legati al boom della piattaforma: case introvabili per chi desidera vivere in quelle città, aumento dei canoni a lungo termine, interi quartieri che si spopolano e diventano aree di intrattenimento per turisti, tutte bar e ristoranti. All’estero, in particolare negli Stati Uniti, il fenomeno è diventato insostenibile da tempo, e per questo diverse amministrazioni hanno ingaggiato una battaglia contro Airbnb per cercare di mettere un freno alla diffusione degli affitti a breve termine. Ma il successo della piattaforma ha invaso anche il Vecchio Continente e messo in allarme le grandi città europee, con Parigi e Barcellona che guidano la rivolta e si affidano anche ai cittadini per salvare le loro “città in affitto”.
La prima città a prendere provvedimenti è stata la culla stessa di Airbnb, San Francisco, dove la piattaforma era nata nel 2008 come una piccola comunità online per affittare stanze e contenere i costi, dell’affitto da una parte e del viaggio dall’altra. Nel 2015 è entrata in vigore una normativa che limita a 90 giorni l’affitto breve per le case in cui si è residenti. Il Comune ha poi creato dei database in cui tutti devono registrarsi per ottenere un permesso e ha creato uffici che si occupano esclusivamente di controllare il settore degli affitti brevi. Risultato: l’anno successivo all’entrata in vigore di queste regolamentazioni dalla piattaforma sono scomparsi 4.000 annunci, circa la metà di quelli che Airbnb aveva nella sua casa madre.
Nella Grande Mela una legge che impediva di affittare un intero appartamento per meno di 30 giorni era già in vigore dal 2010. Di fatto, però, quasi nessuno la rispettava: un report pubblicato nel 2014 dal procuratore dello Stato dimostrava che il 72% degli annunci di Airbnb a New York erano illegali. Per questo nel 2016 il governatore Andrew Cuomo ha approvato una norma che si riferisce direttamente alla piattaforma e autorizza multe fino a 7.500 dollari per chi pubblicizza la propria casa per l’affitto a breve termine su Airbnb. Una vera e propria escalation nel confronto con il colosso digitale che ha raggiunto il culmine nel 2018, quando il sindaco Bill de Blasio ha firmato una mozione che obbliga la piattaforma a pubblicare il nome e l’indirizzo di chi affitta casa in città.
Una legge regionale della Catalogna del 2002 prevede la concessione di una licenza per chi vuole affittare un appartamento per brevi periodi ai turisti, e nel 2014 Barcellona ha introdotto l’obbligo di mostrare il numero di registrazione negli annunci sulla piattaforma. La guerra aperta ad Airbnb è iniziata però con l’elezione a sindaco dell’attivista anti-sfratti Ada Colau, che ha sanzionato il colosso statunitense con una serie di multe, tra cui quella record da 600mila euro nel 2016. Ma la sua azione è stata incisiva soprattutto sui controlli: da una parte sono stati raddoppiati gli ispettori, dall’altra la sindaca ha scatenato una vera e propria campagna di denuncia dal basso, chiedendo ai cittadini di segnalare i vicini che affittano casa ai turisti senza autorizzazione. Questa politica ha dato i suoi frutti: nei primi due anni sono stati chiusi più di 2mila appartamenti illegali, con quasi 3mila multe tra i 30 e i 60mila euro.
A Parigi si può affittare la casa in cui si risulta residenti per 120 giorni all’anno, la finestra più generosa tra le grandi città in Europa. Anche nella capitale francese è stata una sindaca, Anne Hidalgo, a prendere misure molto restrittive nei confronti della piattaforma: per ogni immobile che si mette a disposizione ora bisogna richiedere un codice identificativo e se si tratta di una seconda casa è necessario registrarsi come impresa e versare le tasse e i contributi relativi. Per ogni unità abitativa convertita in commerciale, il proprietario deve inoltre mettere sul mercato degli affitti a lungo termine un altro appartamento nello stesso quartiere. Nel 2017 sono stati sanzionati 59 proprietari, per un totale di 1,3 milioni di euro di multe. L’anno successivo i controlli si sono inaspriti e hanno portato a individuare 1000 appartamenti affittati illegalmente su Airbnb: da qui i 12 milioni di euro che Hidalgo ha chiesto ad Airbnb per non aver effettuato i controlli adeguati.
I dati di Inside Airbnb relativi ad Amsterdam sono impressionanti, anche considerando la struttura della città: gli annunci sono quasi 20mila, e l’80% sono riferiti ad appartamenti. Per questo nel 2018 il consiglio comunale ha dimezzato il numero massimo di notti consentito per l’affitto di case tramite piattaforme come Airbnb, passato dai 60 ai 30 giorni attuali. A Berlino gli annunci disponibili sono 22.500 e il limite è di 60 giorni, ma il Comune ha il potere di limitare o bloccare le licenze nei quartieri per gli affitti sotto i 30 giorni, oltre ad emettere multe che possono arrivare fino a 100mila euro. A Londra, dove gli annunci di appartamenti e stanze su Airbnb sono 80mila, il limite per gli affitti brevi è fissato a 90 giorni.