L’associazione Antigone ha presentato stamattina il suo Rapporto periodico sulla giustizia penale minorile dal titolo “Guarire i ciliegi”, alla presenza del Capo Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità, Gemma Tuccillo, e della componente del collegio del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà, Daniela De Robert. Lo ha fatto simbolicamente all’interno della Comunità Borgo Amigó, fondata dall’ex cappellano dell’istituto per minorenni di Casal del Marmo a Roma, padre Gaetano Greco, che accoglie ragazzi sottoposti a misure penali. Oltre a un’elaborazione dei numeri e delle tendenze dell’intero sistema, l’associazione ha raccontato il proprio viaggio nelle carceri minorili d’Italia, compiuto nel corso del 2019 e immortalato nelle parole degli osservatori e nelle immagini e video-interviste girate all’interno e pubblicate nel Rapporto.

Perché abbiamo scelto Borgo Amigó piuttosto che una consueta sala più o meno istituzionale come di solito accade per le conferenze stampa? Perché il sistema della giustizia minorile italiana è pieno di straordinarie professionalità empatiche e attente ai percorsi individuali – sia direttamente dipendenti dal Dipartimento che nel mondo più ampio che a vario titolo gli gira intorno – che svolgono con i ragazzi un lavoro meraviglioso che è giusto portare alla luce anche dei non addetti ai lavori. Sia nelle norme che nelle pratiche, la giustizia penale minorile in Italia ha molte cose da valorizzare davanti all’intera Europa.

“Da bambino volevo guarire i ciliegi”, cantava Fabrizio De André in una delle canzoni nel suo bellissimo album del 1971 ispirato all’Antologia di Spoon River. Un sogno che appare senza senso ma che in verità si scopre profondissimo. Ciò che di più importante il nostro sistema della giustizia minorile è chiamato a fare è proteggere i sogni e le opportunità di vita dei ragazzi che incrocia. Essere giovani significa proprio questo: avere ancora tutte le porte aperte, avere operato soltanto un numero di scelte piccolo e incapace di precludere possibilità future. Non sono frasi romantiche e astratte le nostre: conosciamo bene le carceri e sappiamo che in quelle per minori, ancor più che in quelle per adulti, ci finiscono le persone meno garantite, le meno protette da reti sociali di sostegno, le più marginali, quelle che hanno alle spalle percorsi estremamente difficili. Sono ancora ragazzini, personalità in piena evoluzione, la cui perdita sarebbe un danno incommensurabile per la società. Proteggere i sogni, tenere aperte le porte, garantire opportunità significa qualcosa di molto concreto: potenziare l’istruzione, la formazione professionale, le relazioni famigliari e affettive, le attività culturali.

Nell’ottobre 2018, dopo quarantatré anni di attesa, sono entrate in vigore nuove norme per un ordinamento penitenziario specifico per le carceri minorili. Per molti aspetti, tuttavia, la prassi era andata negli anni più veloce della legge. Tante delle disposizioni che troviamo nel decreto del 2018 le vedevamo, durante le nostre visite agli istituti, applicate con naturalezza già da molto tempo. Oggi però, grazie all’ampliamento dell’accesso alle misure alternative e alle nuove regole di vita interna, l’intero sistema può compiere un ulteriore passo in avanti. Prima di tutto, continuando in quel percorso di residualizzazione dello strumento detentivo che già è stato pienamente imboccato. Siamo ai minimi storici, con poco più di 350 giovani in carcere. Ma anche quelle poche centinaia sono troppe. Lo strumento educativo è il solo che abbia senso usare con un ragazzo.

Solo in secondo luogo, proponendo per le carceri minorili un modello di detenzione che le norme sulla carta potrebbero permettere se si volesse dar loro un’interpretazione di ampio respiro: un carcere responsabilizzante, dove il ragazzo gestisce la propria vita come in una casa-famiglia, aperto al territorio circostante nell’accesso alle scuole esterne, ai corsi di formazione e a qualsiasi opportunità possa servire a recuperare una potenzialità di vita. Sarebbe rivoluzionario. E, come già in passato più di una volta è accaduto, la giustizia minorile potrebbe proporsi testa di ariete di un cambiamento che vada a investire a macchia d’olio l’intera giustizia penale. È vero, non sembra essere questa la giusta epoca storica per una simile rivoluzione di civiltà nell’uso di una giustizia che non abbia il volto truce della vendetta. Ma se qualcuno può provare a guarire i ciliegi, questo è sicuramente il sistema della giustizia minorile.

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