Le imprese tarantine continuavano a fare affari milionari con la Marina nonostante una sentenza dell’Antistrut ben sette anni fa avesse sancito l’irregolarità della costituzione di un vero e proprio cartello che con “un’intesa segreta, di tipo orizzontale” mirava “alla spartizione scientifica” degli appalti. È quanto emerge dalle carte dell’inchiesta che nei giorni scorsi ha portato all’arresto di 12 persone, tra le quali c’è il direttore dell’Arsenale di Taranto, il contrammiraglio Cristiano Nervi.
Nel provvedimento che risale al 2013, infatti, l’Antitrust aveva appurato che le aziende Tecnosit, Tps Taranto, Maren, Chio.me, Technomont, Comerin, Work Service, Metalblok, Sait, Siman e Coibesa riuscivano con accordi collusivi a monopolizzare le gare indette dallo stabilimento navale tarantino. Non solo. L’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato aveva emesso sanzioni che andavano da un minimo di 14mila euro fino a un massimo di oltre 1 milione di euro. Una decisione che era stata confermata successivamente dal Tar Lazio che aveva però ridotto notevolmente le sanzioni dopo la pronuncia del Consiglio di Stato.
Insomma che esistesse un cartello in grado condizionare le gare e fissare i prezzi di aggiudicazione era noto a tutti. Anche ai vertici della Marina. Le indagini condotte dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico finanziaria guidati dal tenente colonnello Marco Antonucci, hanno dimostrato che nonostante ciò le società coinvolte nell’indagine erano sostanzialmente le stesse “sanzionate dall’Autorità” per “aver turbato le gare indette dagli Enti militari”. Il giudice Benedetto Ruberto, che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare richiesta dal procuratore aggiunto Maurizio Carbone ha infine sottolineato che “appare ragionevole ritenere che l’associazione abbia radici antiche, quantomeno dall’anno 2013”.
Almeno negli ultimi sette anni quindi, stando all’accusa, il cartello di imprese ha continuato a spartirsi i fondi dell’Arsenale: un arco di tempo particolarmente ampio se si considera che solo da giugno 2019 il giro d’affari è stato di oltre 14 milioni di euro. I provvedimenti dell’Antistrust insomma non sono bastati a bloccare il sistema. “Appare evidente – scrive infatti nell’ordinanza il gip Ruberto – che i sodali siano dotati di una elevata spinta criminogena, dato che non sono stati per nulla intimoriti dai provvedimenti assunti dall’A.G.C.M., perseverando nell’attività illecita, come si evince dalle numerose conversazioni captate, in cui è palese la spregiudicatezza di tutti gli indagati, disposti a commettere gravi illeciti, pur di accaparrarsi gli appalti gestiti dall’Arsenale e da altri Enti militari di Taranto, con l’estromissione sistematica delle imprese estranee al sodalizio criminale”.
Chi non faceva parte del cartello, infatti, era escluso. Le porte venivano chiuse anche agli imprenditori che, dopo essere stati arrestati nelle precedenti inchieste, avevano scelto di collaborare con la magistratura. Il loro rientro nel giro era ostacolato in ogni modo: in una intercettazione uno degli imprenditori ignaro di essere ascoltato chiede: “L’hai detto a Nervi di non parlare assai con quello?”. E poi aggiunge: “visto che devi andare alle 3 e mezzo avvertilo… digli… visto che lo conosci da tanti anni, come consiglio personale digli… stai attento a quello…”.
Le precauzioni non sono servite a sfuggire al controllo degli inquirenti. Nel corso del tempo, infatti, si era perfezionato un sistema anche per sfuggire alle indagini che negli anni scorsi hanno svelato le mazzette che circolavano nella Direzione di Commissariato della Marina. Gli indagati evitavano di parlare al cellulare e svolgevano le riunioni lontani dagli smartphone per paura che nei dispositivi fosse stato introdotto il trojan che trasforma il cellulare in una cimice. Ma le fiamme gialle sono riuscite comunque a penetrare nei locali dove avvenivano quegli incontri: hanno filmato, ascoltato e verificato tutto quello che emergeva da quei dialoghi. E a distanza di mesi sono scattati gli arresti.
Articolo aggiornato dalla redazione web il 24 febbraio alle 15.53
Giustizia & Impunità
Arresti arsenale di Taranto, indagati recidivi: nel 2015 l’Antitrust sanzionò gli stessi soggetti per un cartello sugli appalti della Marina
Già sette anni era stata identificata “un’intesa segreta, di tipo orizzontale” mirava “alla spartizione scientifica” degli appalti della Marina. Gip: "Ragionevole ritenere che l’associazione abbia radici antiche"
Le imprese tarantine continuavano a fare affari milionari con la Marina nonostante una sentenza dell’Antistrut ben sette anni fa avesse sancito l’irregolarità della costituzione di un vero e proprio cartello che con “un’intesa segreta, di tipo orizzontale” mirava “alla spartizione scientifica” degli appalti. È quanto emerge dalle carte dell’inchiesta che nei giorni scorsi ha portato all’arresto di 12 persone, tra le quali c’è il direttore dell’Arsenale di Taranto, il contrammiraglio Cristiano Nervi.
Nel provvedimento che risale al 2013, infatti, l’Antitrust aveva appurato che le aziende Tecnosit, Tps Taranto, Maren, Chio.me, Technomont, Comerin, Work Service, Metalblok, Sait, Siman e Coibesa riuscivano con accordi collusivi a monopolizzare le gare indette dallo stabilimento navale tarantino. Non solo. L’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato aveva emesso sanzioni che andavano da un minimo di 14mila euro fino a un massimo di oltre 1 milione di euro. Una decisione che era stata confermata successivamente dal Tar Lazio che aveva però ridotto notevolmente le sanzioni dopo la pronuncia del Consiglio di Stato.
Insomma che esistesse un cartello in grado condizionare le gare e fissare i prezzi di aggiudicazione era noto a tutti. Anche ai vertici della Marina. Le indagini condotte dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico finanziaria guidati dal tenente colonnello Marco Antonucci, hanno dimostrato che nonostante ciò le società coinvolte nell’indagine erano sostanzialmente le stesse “sanzionate dall’Autorità” per “aver turbato le gare indette dagli Enti militari”. Il giudice Benedetto Ruberto, che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare richiesta dal procuratore aggiunto Maurizio Carbone ha infine sottolineato che “appare ragionevole ritenere che l’associazione abbia radici antiche, quantomeno dall’anno 2013”.
Almeno negli ultimi sette anni quindi, stando all’accusa, il cartello di imprese ha continuato a spartirsi i fondi dell’Arsenale: un arco di tempo particolarmente ampio se si considera che solo da giugno 2019 il giro d’affari è stato di oltre 14 milioni di euro. I provvedimenti dell’Antistrust insomma non sono bastati a bloccare il sistema. “Appare evidente – scrive infatti nell’ordinanza il gip Ruberto – che i sodali siano dotati di una elevata spinta criminogena, dato che non sono stati per nulla intimoriti dai provvedimenti assunti dall’A.G.C.M., perseverando nell’attività illecita, come si evince dalle numerose conversazioni captate, in cui è palese la spregiudicatezza di tutti gli indagati, disposti a commettere gravi illeciti, pur di accaparrarsi gli appalti gestiti dall’Arsenale e da altri Enti militari di Taranto, con l’estromissione sistematica delle imprese estranee al sodalizio criminale”.
Chi non faceva parte del cartello, infatti, era escluso. Le porte venivano chiuse anche agli imprenditori che, dopo essere stati arrestati nelle precedenti inchieste, avevano scelto di collaborare con la magistratura. Il loro rientro nel giro era ostacolato in ogni modo: in una intercettazione uno degli imprenditori ignaro di essere ascoltato chiede: “L’hai detto a Nervi di non parlare assai con quello?”. E poi aggiunge: “visto che devi andare alle 3 e mezzo avvertilo… digli… visto che lo conosci da tanti anni, come consiglio personale digli… stai attento a quello…”.
Le precauzioni non sono servite a sfuggire al controllo degli inquirenti. Nel corso del tempo, infatti, si era perfezionato un sistema anche per sfuggire alle indagini che negli anni scorsi hanno svelato le mazzette che circolavano nella Direzione di Commissariato della Marina. Gli indagati evitavano di parlare al cellulare e svolgevano le riunioni lontani dagli smartphone per paura che nei dispositivi fosse stato introdotto il trojan che trasforma il cellulare in una cimice. Ma le fiamme gialle sono riuscite comunque a penetrare nei locali dove avvenivano quegli incontri: hanno filmato, ascoltato e verificato tutto quello che emergeva da quei dialoghi. E a distanza di mesi sono scattati gli arresti.
Articolo aggiornato dalla redazione web il 24 febbraio alle 15.53
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La corsa militare dell’Europa innesca una ondata di vendite sui debiti dei Paesi: su gli interessi
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Più che le conclusioni del Consiglio europeo sembrano un bollettino di guerra, con i nostri governanti che, in un clima di ubriacatura collettiva, programmano una spesa straordinaria di miliardi su miliardi per armi, missili e munizioni. E la premier Meloni cosa dice? 'Riarmo non è la parola adatta' per questo piano. Si preoccupa della forma e di come ingannare i cittadini. Ma i cittadini non sono stupidi! Giorgia Meloni come lo vuoi chiamare questo folle programma che, anziché offrire soluzioni ai bisogni concreti di famiglie e imprese, affossa l’Europa della giustizia e della civiltà giuridica per progettare l’Europa della guerra?". Lo scrive Giuseppe Conte sui social.
"I fatti sono chiari: dopo 2 anni e mezzo di spese, disastri e fallimenti in Ucraina anziché chiedere scusa agli italiani, Meloni ha chiesto a Von der Leyen di investire cifre folli in armi e spese militari dopo aver firmato sulla nostra testa a Bruxelles vincoli e tagli sugli investimenti che ci servono davvero su sanità, energia, carovita, industria e lavoro. Potremmo trovarci a spendere oltre 30 miliardi aggiuntivi sulle armi mentre ne mettiamo 3 scarsi sul carobollette".
"Stiamo vivendo pagine davvero buie per l’Europa. I nostri governanti, dopo avere fallito con la strategia dell’escalation militare con la Russia, non hanno la dignità di ravvedersi, anzi rilanciano la propaganda bellica. La conclusione è che il blu di una bandiera di pace scolora nel verde militare. Dai 209 miliardi che noi abbiamo riportato in Italia dall'Europa per aziende, lavoro, infrastrutture, scuole e asili nido, passiamo a montagne di soldi destinati alle armi".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Much appreciated". Lo scrive Elon Musk su X commentando un post in cui si riporta la posizione della Lega e di Matteo Salvini sul ddl Spazio e Starlink. Anche il referente in Italia del patron di Tesla, Andrea Stroppa, ringrazia via social Salvini: "Grazie al vice PdC Matteo Salvini per aver preso posizione pubblicamente".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - Gianfranco Librandi, presidente del movimento politico “L’Italia c’è”, ha smentito categoricamente le recenti affermazioni giornalistiche riguardanti una presunta “coalizione di volenterosi” per il finanziamento di Forza Italia. Librandi ha dichiarato: “Sono tutte fantasie del giornalista. Smentisco assolutamente di aver parlato di una coalizione di volenterosi che dovrebbero contribuire al finanziamento del partito”.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Il vergognoso oltraggio del Museo della Shoah di Roma è l'ennesimo episodio di un sentimento antisemita che purtroppo sta riaffiorando. È gravissima l'offesa alla comunità ebraica ed è gravissima l'offesa alla centralità della persona umana e all'amicizia tra i popoli. Compito di ognuno deve essere quello di prendere decisamente le distanze da questi vergognosi atti, purtroppo sempre più frequenti in ambienti della sinistra radicale infiltrata da estremisti islamici , che offendono la memoria storica e le vittime della Shoah. Esprimo la mia più sentita solidarietà all'intera Comunità ebraica con l'auspicio che tali autentici delinquenti razzisti antisemiti siano immediatamente assicurati alla giustizia ". Lo ha dichiarato Edmondo Cirielli, Vice Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Meloni ha perso un'occasione rispetto a due mesi fa quando si diceva che sarà il ponte tra l'America di Trump e l'Europa e invece Trump parla con Macron, con Starmer e lo farà con Merz. Meloni è rimasta un po' spiazzata. Le consiglio di non essere timida in Europa perchè se pensa di sistemare i dazi un tete a tete con Trump, quello la disintegra. Meloni deve stare con l'Europa e Schlein quando le dice di non stare nel mezzo tra America e Europa è perchè nel mezzo c'è l'Oceano e si affoga". Lo dice Matteo Renzi a Diritto e Rovescio su Rete4.