Una storia simbolo delle criticità dei concorsi universitari è quella dello studioso di Vittoria (Ragusa), Giambattista Scirè. La riassumo brevemente, nonostante sia stata ripresa da tanti mezzi d’informazione. Nel 2011, presso l’ateneo di Catania si tiene un concorso per Rtd-A (ricercatore a tempo determinato di tipo A, dalla durata triennale) nel settore di Storia Contemporanea. Giambattista Scirè vi partecipa ma a vincere è una persona laureata in Architettura. Scirè inizia allora una lunga battaglia giudiziaria, sulla quale non mi dilungo, ma basti sapere che nel maggio 2014 una sentenza del Tar lo ha riconosciuto legittimo vincitore di quel concorso. L’ateneo di Catania ne dispone il reintegro, per la rimanente parte del contratto, da settembre a dicembre 2014, cioè soli quattro mesi su tre anni. Lieto fine, si dirà.
Alla scadenza del contratto, però, l’ateneo concede una proroga biennale a 52 ricercatori di tipo A su 53. Chi è l’unico a cui il contratto non è stato rinnovato? Da allora Scirè ha raccontato la sua storia su innumerevoli organi di stampa e in incontri pubblici, presentandola anche con toni un po’ accesi, comprensibilmente, visto anche l’esborso economico e la fatica della battaglia che è stato costretto a intraprendere per vedere affermato quello che un tribunale ha riconosciuto essere un suo diritto. A volte ha anche ecceduto in generalizzazioni riguardo tutto il sistema universitario che non mi trovano d’accordo e dalle quali ho preso le distanze. L’assurdità di questa vicenda emblematica resta però intatta. Al punto che con la mia collega deputata Simona Suriano, l’europarlamentare Dino Giarusso e lo stesso Scirè siamo stati ospiti di un bellissimo evento proprio all’università di Catania, dove abbiamo parlato del caso personale, ma soprattutto discusso anche con il pubblico di possibili soluzioni strutturali.
Facciamo allora un passo indietro nel ragionamento. I docenti universitari in Italia sono 50.000 su 60 milioni di individui. Questo significa che meno di un individuo su mille potrà insegnare all’università come personale di ruolo, una posizione che è particolarmente ambita. È inevitabile che con questi numeri (ma la situazione rimarrebbe simile anche raddoppiando il numero di docenti universitari) ci sono studiosi davvero bravi che non riescono a entrare nell’università oppure vanno all’estero. La selezione dei docenti universitari tramite concorso sarà sempre una procedura che scontenterà qualcuno, perché mentre è facile individuare uno “bravo” e uno “scarso”, scegliere il bravissimo tra quattro davvero bravi è un’operazione davvero complessa, perché dipende da tanti parametri.
Meglio avere il professore che non sa dire due parole di fila ai propri studenti (perché, non dimentichiamolo, la prima funzione dei docenti è quella di trasmettere la conoscenza) ma che è un ricercatore eccezionale, o è preferibile qualcuno che magari non sarà Einstein nella ricerca ma accende un fuoco in chi ascolta le sue lezioni? Questo è il dilemma che in tante sfumature deve risolvere chi è chiamato a giudicare in un concorso universitario.
L’università è un ecosistema molto differenziato e delicato. Qualsiasi intervento deve essere attentamente ponderato, perché gli approcci “da bacchetta magica” possono solo peggiorare la situazione. Chi ha sostenuto che l’università fosse l’impero del male, assumendo che alcune specifiche situazioni patologiche fossero invece la norma, lo ha fatto spesso per giustificare delle indiscriminate politiche di tagli, le quali non hanno affatto migliorato il sistema ma hanno semplicemente portato alla perdita di oltre 10.000 docenti dal 2008 a oggi. Tra mille difficoltà e due maggioranze composite, i governi retti dal presidente Conte hanno visto un aumento dei fondi di finanziamento per università (Ffo, pari ora a 7,620 miliardi), enti di ricerca (Foe, pari a 1,812 miliardi), che al momento sono al loro massimo storico, per non parlare dell’incremento di quasi il 10% del fondo per le borse di studio che è arrivato a 267 milioni. Certo, c’è ancora tanto da fare e nessuno vuole usare toni trionfalistici, ma è innegabile che la tendenza “tagli” è stata invertita.
Dire “i concorsi sono tutti truccati” è una facile e inutile generalizzazione, perché valutare un docente universitario, per lo più “nel futuro” è tremendamente difficile. Certo che nepotismo esiste, ma se lo andiamo a misurare con l’analisi dei cognomi e non con il sentito dire, vedremo che è un fenomeno marginale, che riguarda circa il 2% dei docenti su base nazionale.
Detto questo, i docenti universitari hanno un posto importante nella società, di guida e di ispirazione. Per questo il livello di moralità a loro richiesto deve essere il più alto possibile. E devono essere al di sopra di ogni sospetto. Per questo una vicenda in cui esiste una verità giudiziaria come quella di Giambattista Scirè non può e non deve essere nascosta, ed è un obbligo quello di cercare delle soluzioni. Si tratta di una questione paradigmatica.
Recentemente però sono accadute due importanti novità: un incontro tra Giambattista Scirè e i vertici dell’ateneo etneo e soprattutto una lettera del nostro presidente Sergio Mattarella rivolta allo studioso.
Un gesto di attenzione al quale forse non possono seguire provvedimenti specifici e concreti, ma che è di grande significato simbolico. La politica non si dovrebbe occupare dei singoli casi: dovrebbe occuparsi di scrivere le regole per tutti. Tuttavia, è indubbio che una soluzione condivisa per il caso di Giambattista Scirè potrebbe essere un bel segnale per l’ateneo di Catania e per tutta l’università italiana. Il gesto di riconciliazione potrebbe essere quello di un provvedimento, studiato di concerto con l’università e grazie a una apposita deroga del ministero, per poter rinnovare il contratto di Giambattista per i due anni a quali avrebbe avuto diritto. Questa soluzione permetterebbe all’ateneo e a Scirè di ripartire per una nuova avventura e di tirare una finalmente riga sul passato. Certo, questo non risolverà il problema dei concorsi universitari in Italia, ma sarà un segnale davvero importante per portare maggiore legalità e valorizzazione del merito all’interno di quella immensa risorsa per il nostro Paese che è l’università.
Voglio fortemente credere che la prossima volta che parleremo di Giambattista Scirè sarà per raccontare una bella storia che ha cambiato l’università italiana tutta in meglio.