Il consumo di carbone e petrolio ha registrato un calo di almeno il 25 per cento rispetto allo stesso periodo del 2019. Ma gli ambientalisti avvertono: "Per compensare le perdite del periodo di inattività ci sarà un aumento di produzione, che potrebbe compensare o invertire la tendenza"
La paralisi dell’attività economica in Cina dovuta al coronavirus fa calare le emissioni di CO2. Secondo un’analisi del Centre for Research on Energy and Clean Air (CREA), in Finlandia, pubblicata sul sito carbonbrief.org, le emissioni di carbonio della Cina registrate nelle ultime due settimane sarebbero crollate di almeno 100 milioni di tonnellate, se si fa un paragone con quelle dello stesso periodo dello scorso anno. Su scala globale, si tratta di quasi il 6% in meno di emissioni rispetto al 2019. Le settimane di riferimento sono quelle in cui l’attività sarebbe normalmente ripresa dopo le vacanze per il Capodanno cinese, se non fosse stato necessario intervenire con delle misure restrittive.
Ma per gli ambientalisti potrebbe trattarsi di un fenomeno non destinato a durare nel tempo, perché tra i primi effetti di un rallentamento dell’epidemia potrebbero esserci proprio “un aumento della produzione delle fabbriche per compensare le perdite del periodo di inattività” ha spiegato Li Shuo, portavoce di Greenpeace China. “Resta da vedere – ha detto a riguardo la ricercatrice Lauri Myllyvirta, autrice dell’analisi – se le riduzioni saranno compensate, o addirittura invertite, da un pacchetto di incentivi del governo in risposta alla crisi che potrebbe vedere un picco nella costruzione”. Nel frattempo, però, la diminuzione delle emissioni è comunque un fenomeno che vale la pena monitorare, anche solo per comprendere gli effetti che avrebbe sull’inquinamento – non solo in Cina – una riduzione di alcune produzioni. Un conto è parlare di numeri e fare stime, un altro è poter vedere la differenza con i propri occhi o attraverso i satelliti.
– Le misure del governo cinese – Lo studio pubblicato da Carbon Brief analizza le conseguenze dell’emergenza del coronavirus e delle conseguenti misure restrittive adottate da Pechino. Ogni inverno, durante il capodanno cinese, il Paese si ferma per una settimana, con negozi e cantieri chiusi e la maggior parte delle industrie che blocca le attività. Tutto questo, ogni anno, ha un impatto significativo (ma a breve termine) sulla domanda di energia, sulla produzione industriale e sulle emissioni. L’impiego di carbone, per esempio, tende a ridursi del 50 per cento prima del capodanno cinese, per poi tornare a livelli standard in circa tre settimane. Quest’anno, però, alle vacanze per il nuovo anno lunare (che cadeva lo scorso 25 gennaio), prolungate fino al 10 febbraio, si sono aggiunti gli obblighi di isolamento e i limiti alla circolazione, che hanno costretto molte fabbriche a rimanere chiuse o a un funzionamento a ritmo rallentato.
Le conseguenze sulla produzione – La conseguenza è stata un prolungamento del solito calo del consumo di energia: la domanda è rimasta contenuta, anche dopo la ripresa ufficiale dei lavori il 10 febbraio. Il consumo di carbone e petrolio ha registrato un calo di almeno il 25 per cento. Si calcola che le misure per contenere il Coronavirus abbiano ridotto la produzione dal 15% al 40% nei settori industriali chiave. Alcuni indicatori segnano la media più bassa registrata dopo diversi anni. Non solo l’utilizzo del carbone nelle centrali elettriche, che non era così basso da quattro anni a questa parte. La domanda di elettricità e la produzione industriale rimangono di gran lunga al di sotto dei livelli abituali. Anche il funzionamento della principale raffineria di petrolio della Cina, nella provincia di Shandong, non era così ridotto dal 2015, mentre i voli nazionali sono diminuiti del 70% rispetto al mese scorso.
Gli effetti sulle emissioni – Secondo lo studio, solo per quanto riguarda il consumo medio di carbone nelle centrali elettriche cinesi che comunicano i loro dati giornalieri, nelle due settimane tra il 3 e il 16 febbraio il calo record rispetto agli ultimi quattro anni ha portato a un abbattimento delle emissioni di CO2 da 400 a 300 milioni di tonnellate, con una differenza di circa 100 milioni di tonnellate rispetto al 2019. Le misurazioni satellitari, inoltre, hanno registrato anche un crollo, nella settimana successiva alle vacanze cinesi, del 36 per cento rispetto delle emissioni di biossido di azoto (NO2), inquinante atmosferico strettamente associato alla combustione di combustibili fossili.
Impatto temporaneo – Si tratta di un fenomeno che lascerà un segno o solamente di un impatto temporaneo? “È molto verosimile che, nel momento in cui la diffusione del coronavirus dovesse rallentare, potremmo assistere a un aumento della produzione delle fabbriche per compensare le perdite del periodo di inattività” ha detto Li Shuo, portavoce di Greenpeace China, sottolineando che si tratta di “dinamiche già testate e dimostrate”. Ma questo è una domanda che si sono posti anche gli stessi scienziati. Anche perché, quella riduzione del 25% del consumo di energia “ridurrebbe solo dell’1 per cento i dati annuali“. La Cina, inoltre, ha anche un’alta capacità in tutte le principali industrie che emettono CO2: volumi di produzione (e quindi emissioni) possono recuperare rapidamente se c’è la domanda. Ed è proprio questo il punto. Secondo gli analisti, un impatto prolungato sull’uso di combustibili fossili potrebbe essere causato solo dalla riduzione della domanda. In questo senso, però, qualche segnale c’è. Le vendite di auto di febbraio si stima siano ridotte del 30%, ancora meno dei livelli già bassi dello scorso anno. “Se la domanda dei consumatori viene ridotta – spiegano gli analisti – ad esempio a causa di salari non pagati durante la crisi, la produzione industriale e l’uso di combustibili fossili potrebbero non recuperare, anche se c’è la capacità per farlo”. Altro fattore chiave sarà la velocità con cui le cose torneranno alla normalità. Pechino ha chiesto alle aziende di tornare al lavoro, ma molte realtà faticano a riavviare le operazioni a causa delle rigide normative dei governi locali e del fatto che non tutti i lavoratori sono in grado di tornare.
Lo studio completo sul sito carbonbrief.org